PARTITURELuigi De Rosa

Sa li ta

PARTITURELuigi De Rosa
Sa li ta

Segui la scia nella notte sacra che ha perso il sacro. Aggirati nella luce agra ramata e sporca fino all'ingresso.

Una porta misera, metallica, una scritta al neon verde che dice solo: In.

Mettiti in fila fra gli altri, invisibile. Pensa alla malinconia e alla perdita ma consolati: il tuo corpo non è mai stato davvero tuo.

Entra e guardati attorno. Un losco locale fresco, ricolmo di piante esotiche e lampadine appese al soffitto di cui si vede benissimo il filamento incandescente (e per un attimo vedi la tua anima in ogni luce).

Ti avvolgono sottofondi elettronici e sassofoni, falsi contrabbassi ricostruiti al computer. Il barista scheletrico serve drink elaborati dai nomi complessi, e le ragazzine, ahhh le ragazzine... strusciano i corpicini gracili sui compagni di ballo, riportando la pedofilia in auge anche fra i profani.

Un ballo lento e retrò, per bambine e vampiri.

Bevi qualcosa che sa di gin e menta, d'un tratto noti un eccesso di eleganza. Troppi decori neoclassici alle pareti, sia mai che la bellezza sia stuzzicata a tornare.

PRETENZIOSO: la parola ti compare davanti e inizi a cercare altrove.

Pochi secondi e trovi una porta, la apri, dà su delle scale di marmo.

Dal piano di sopra arriva un odore terso, saturo come cieli d'estate: è il disincanto? È la speranza che affonda?

Sali.

Ti ritrovi sotto un soffitto basso, impiastricciato di tubi e intonaco. C'è ancora più gente e questa gente balla un ritmo ghiacciato e robotico. Lamiere e sintetizzatori ti mettono i brividi nelle braccia. Non sembra esserci un problema, ma c'è troppo caos per capirlo bene. Al centro della ex fabbrica un distributore automatico serve drink spenti, invariabilmente neri o grigi. Le luci della pista trasformano i volti in pellicole seppiate, tristi.

Non ti piace ricordare, né conoscere. Non ti va nemmeno di combattere. Non hai bisogno di essere consapevole della disperazione in cui ti trovi assieme a tutti gli altri.

Ruota dunque la testa in cerca di un'altra porta e vai avanti. Prosegui il non cammino verso chissà dove (cerca nel piccolo portafoglio da adolescente, e trova una foto dei tuoi genitori; sono gli avi che ti guideranno: basta tu faccia il contrario di quello che hanno fatto loro).

Trovi una scala a pioli che sale verso una botola ottagonale. Gli altri salgono uno alla volta, lenti.

Sali.

Di colpo ti si gela la faccia e non vedi più niente.

Tranquilla, passa una mano sugli occhi per pulirti: è solo vernice blu. Qualcuno ve l'ha tirata addosso per farvi dimenticare il colore della vostra pelle (anche se nessuno lo dimentica davvero, no?). Sulla porta in cima alle scale dorate c'è una nuova scritta al neon rosa: In mezzo al mare e addio.

Entra, segui gli altri. Nero: le luci viola lampeggiano febbrili rivelando persone e oggetti inanimati a frammenti. Ti avvolge un suono elaborato, venti tracce parallele di amore e glitch, bassi da rave e inquietudini urbane.

La geometria che domina il terzo piano (è il terzo? da quanto stai davvero salendo?) è ovunque: nei muri Mondrian, nei pavimenti maiolicati, nel bar a forma di triangolo dove regine di cuori e scuri investigatori bevono da provette e alambicchi.

Sporca di blu ti aggiri tra la folla, e soffi fuori il sollievo per essere almeno un potenziale puffo: non sapevi nulla della festa in maschera.

Dolce, distante da te stessa, bevi altre cose con nomi tipo 82929xy e 1617ltyx, e decidi di cercare dei funghi.

Ne compri uno da una donna con tacchi altissimi e un occhio onniveggente sulla fronte e lo ingoi senza paura.

Sai che deve esserci un'altra porta perché non si è mai abbastanza perduti, non si è mai abbastanza in alto, non si è mai abbastanza fottuti.

Balli con un giapponese e, puff, ore secondi dopo ti si para davanti una porta minuscola tappezzata di occhi.

Piangi, tenera: e come ci passo, io? Lo sapevo che dovevo dimagrire.

La musica incalza e un nano con un boccale di birra ti suggerisce di provare a respirare più a fondo.

Respiri, e la porta ti assorbe come un magnete.

Sali.

No, non sei già preda della paranoia, è solo la stanza che ruota. Come vedi c'è qualcuno che ha pensato bene a come farti divertire, sballare, dimenticare (nessuno sa che sei qui, nessuno verrà a prenderti a mezzanotte, le tue scarpe del cazzo NON sono riconoscibili e nessuno ti troverà grazie a loro). Cammina nel folle turbinio di colori e suoni martellanti (l'elettronica è bella perché si può ballare da soli) e cerca di non cadere. Il pavimento gira in un verso, le pareti rivestite di pannelli lampeggianti nell'altro.

Confusa? È la via giusta per vivere.

Bevi ancora. Per caso il tuo nobile cuore batte a mille? Li vedi i pipistrelli rosa sul soffitto? E quello non è mica tuo padre? Sì, quello che ti sta venendo addosso con una katana.

Ti muovi veloce, ogni persona un primo piano distorto nel tuo campo visivo: ci sono tutti.

Siete tutti qui.

Ma non è il momento di ricordare. La Storia è morta tanti anni fa.

Devi andare avanti, non c'è tempo di seguire i rombi e le fatine colorate che entrano ed escono dalle bocche sporche di cibo e vodka. Non c'è tempo di guardare le strane creature viscide che bagnano il pavimento, i piccoli pianeti che fluttuano, le macchine di tortura medievali che cigolano e cigolano, i partiti nazionalisti che corrompono i buttafuori.

Non c'è tempo perché il tempo non esiste.

Sali.

Altra porta in cima alle scale, altra scritta al neon rosso: In mezzo al mare e addio al saper nuotare.

Il penultimo piano ti trasforma in Teseo. Ti aggiri sperduto fra mura rosa, la musica ormai delirante che ti trapana le orecchie e il petto, e tu che ti aspetti il Minotauro da un momento all'altro.

Conti i tuoi passi senza difficoltà. A questo punto saranno almeno un milione. Sudato, freddo come il ghiaccio, nel panico, ti rendi conto solo quando arriva ringhiando che non è orrore, non è morte, ma sollievo.

Il Minotauro si toglie otto maschere (cane, gatto, luna piena, palla da biliardo, morte, tua madre, orologio cubico) e ti prende per mano.

È pieno di gente, adesso, il labirinto. Amici, amiche, vecchi e finiti amori. Ciascuno in preda a ormoni e pensieri diversi; a chissà quali sostanze, quali influssi.

Pensi che sarebbe bello, dopo aver preso un fungo, vedere tutti le stesse cose.

Il mostro ti porta verso altre scale.

Sali.

L'ultima porta si apre contro il cielo notturno.

Prendi aria, respira. Guarda le poche stelle che ci sono e disperati per l'ultima volta bestemmiando l'inquinamento luminoso e ogni creazione umana.

Rimetti il corpo stanco e sudato in fila. Di nuovo te stessa, provi sollievo nell'aver perso la forza e i muscoli di Teseo. Non faceva per te, è solo che ti avevano chiesto di esserlo.

Avanzate, uno alla volta, verso un trampolino che dà sul niente.

Non è che le cose siano andate solo male, non è che non ci si sia divertiti tutti insieme a far casino nella luce e nella musica. Qualcuno ricorderà persino gioia nei tuoi occhi, da qualche parte mamma e papà conservano non sai quante foto di te piccolo putto biondo che odia le spremute e sorride anche senza motivo.

È solo che avete perso. Tutto, su tutta la linea.

E ogni corpo giovane lascia piccoli segni prima di andarsene: un profumo, l'orma di una mano o di un piede, magari una parola sensata, qualcuno addirittura un sentimento in qualcun altro.

Nessuno è felice di saltare, ma nessuno trova alternative: come sali, così ti tocca scendere.

Senza che tu sia pronta tocca a te.

(Chiunque tu sia, vivi al di là di questa pagina, non sei questa pagina

non sei solo questa pagina

puoi uscire da questa pagina perché sei già fuori).