Coscimo

Coscimo

"Coscimo!" è il senzatetto della mia zona: puzza di piscio di gatto, è bassino, sdentato e vecchio. La mia zona è il Porto di Catania. Ogni giorno, da quando sono tornata nella mia terra, vado al Porto per camminare e passo in rassegna i pescherecci - la Luisa, la Maria, la Lisa, la Buona Speranza (come se non bastasse già essere Speranza!), la Rosa, la Gaia,l'Allegra, l'Azzurra, tutti nomi di donna – e li seguo con lo sguardo mentre si allontanano: invidio le braccia nerborute degli uomini, quando praticavo la boxe speravo di farmi le braccia forti invece mi si sono stretti i fianchi; invidio i loro modi rozzi ma precisi, organizzati – avessi la metà del loro problem solving – e sogno di imbarcarmi con loro perché la vita sulla terraferma mi ha sfiancata. O la faccio finita o mi imbarco, così non posso andare avanti, mi dico.

Ogni giorno "Coscimo!" entra senza mascherina in svariati luoghi pubblici, sempre gli stessi. La farmacia e il medico di base, soprattutto: forse gli piacciono i camici, penso,forse vorrebbe chiedere aiuto, o forse sono io che ho bisogno d'aiuto visto che esco solo per andare in farmacia e dal medico. "Coscimo!" entra, dicevo, e semina il terrore: non per la mascherina, s'intende, per la puzza di piscio.

"Coscimo! La mascherina!”

I farmacisti più giovani lo chiamano per nome, gli intimano bonariamente di uscire perché sprovvisto dei regolari dispositivi sanitari ma glielo dicono come fosse l'amicone buontempone colpevole di una marachella al quale vuoi troppo bene per muovere seri rimbrotti. L'untore borbotta qualcosa di incomprensibile, solleva la mano al dio che "esiste e vive a Bruxelles", fa una giravolta su sé stesso ed esce con lo stesso passo claudicante con cui è entrato.

"Coscimo!" entra nello studio medico, prende un mucchietto di riviste, se le mette sotto il braccio ed esce. "Coscimo! Quelle non sono tue, non le puoi prendere così!", lo blocca la giovane segretaria con fare severo, quasi cattedratico. Soffro di emicrania da giorni, sono terrorizzata, da bambina era cronica: restavo chiusa in casa, dovevo sbarrare le imposte, non sopportavo la luce né i rumori – e quando soffro di emicrania da giorni ho, in climax ascendente, nausea-paura-voglia di morire: la sensazione che la vita sia semplicemente assurda e insopportabile diventa una solida certezza. Il fatto di sapere che si muore rende la vita priva di significato, dice Camus. Mentre aspetto il mio turno per farmi visitare a Camus non penso, penso solo ai dolori lancinanti: questa volta non riesco a farli passare nemmeno imbottendomi di Aulin-Tachipirina-Oki. Chiudo gli occhi,come da bambina, e ripeto il mio mantra "voglio morire, voglio morire, voglio morire": voi ridete ma vi garantisco che da bambina funzionava.

Ora non più. Seduta in un angolo, riportata alla realtà dalle strida della segretaria, sollevo lo sguardo: la signorina non ha tutti i torti, penso, non si rubano le cose. E poi, insomma, noi a preoccuparci di indossare questa stramaledetta mascherina e "Coscimo!" è lì che tocca tutto e tutti senza ritegno, che scandalo! In realtà dentro di me so che non mi frega nulla di cosa è socialmente giusto e sbagliato: da malata sono cinica ed egoista. Sono solo infuriata perché non mi lasciano riposare in silenzio e tenere gli occhi chiusi durante l'attesa.

Per un istante fisso lo sguardo su "Coscimo!" e lo invidio sinceramente. Lui è un vero rivoluzionario, lui fa quello che gli pare, come i bambini. Lui il vero saggio, lui il vero filosofo, proprio come diceva Cioran: i barboni sono i veri filosofi. Lui, sempre serafico e imperturbabile, ha visto e compreso ciò che questa gente che sbraita, che resta turbata dal suo aspetto e dal suo puzzo di piscio non capirà e non vedrà mai. La situazione precipita rovinosamente trasformandosi in una rocambolesca scenetta all'italiana dove la segretaria scatta in piedi, batte i talloni come Mary Poppins quando fa magie (era Mary Poppins? Non ricordo più come si fanno le magie o chi le fa), si inalbera come la maestra alla quale hai detto che il cane ti ha mangiato il compito e agita le braccia convulsamente intimando all'uomo di uscire “immediatamente! E rimetti subito a posto le riviste!”. Povera donna, chissà quante volte al giorno deve ripetere questa sceneggiata. Dentro lo studio ci sono i pazienti, lei è lì per servirli, è una tutrice dell'ordine: cos'altro dovrebbe fare? La donna, non l'avevo notato prima, in realtà è una ragazza: avrà meno di trent'anni, è più piccola di me, ed è incinta. Di solito, di fronte a donne incinte e/o con figli e/o col posto fisso provo un inspiegabile disagio: non so per chi o perché, in fondo io non possiedo e non desidero né gli uni né l'altro; eppure è come se, ogni volta, sentissi che qualcosa in me è sbagliato.

Non sei tu, è la società che ti obbliga a sentirti così, direbbe la mia amica milanese ultrafemminista.

Guardo la segretaria, dev'essere lei che manda avanti la famiglia, penso, e mi perdo qualche istante a inventarmi la sua vita: la immagino mentre fa l'amore – le donne che fanno l'amore sono sempre bellissime – la immagino mentre lava i piatti, mentre guida, mentre NON fuma e NON beve alcolici perché ora col bambino in arrivo non si può. Mi distraggo. Quasi dimentico il mal di testa.

Tocca a me. "Coscimo!" mette le riviste al loro posto ed esce, capo chino, borbottando a denti stretti, le braccia incrociate sul petto a serrare il paltò liso. Io mi alzo, lui esce, ci incrociamo: mentre mi passa davanti noto un pezzettino di carta rosso sgargiante uscirgli dalla giacca: birbante d'un senzatetto, che ci farai mai con Donna moderna! Dicono sia matto ma secondo me è il più lucido di tutti.

A me "Coscimo!" è simpatico per due motivi. Primo, se ne fotte di come appare alla gente: non so quanto consapevolmente, non so se se ne renda conto ma il punto è che se ne fotte e va per la sua strada (letteralmente). Secondo: mi ricorda mio nonno Agatino: bassino e calvo come lui, lo stesso sorriso malinconico. Mio nonno non rubava riviste ma entrava e usciva dagli stessi posti ogni giorno alla stessa ora e, quando ero molto piccola, puzzava anche un po' di piscio, come tutto in casa dei nonni, a causa dei diciassette gatti che nonna Angela lasciava entrare e uscire a loro diletto perché "liberi! I iatti ana stari liberi, s'annunca morunu!", diceva. A morire per il fetore eravamo noi – puzzo di piscio ovunque – ma mia nonna era contenta. E, ve lo giuro, era meglio sopportare il puzzo di piscio che vedere nonna Angela incazzata.

E comunque, una Nonna incazzata è sempre meglio di una Madre rancorosa. Se non altro per la consueta logica parentale: nonni amano nipoti (e viceversa) – genitori odiano figli (e viceversa). Un concentrato di logica e tradizione. Un po' estremo, lo ammetto, ma c'è del vero. Dal che si deduce che odio mia madre e che l’aforisma l'ho inventato su misura per me. Ma questa è un'altra storia e non mi va di parlarne perché mi causa potenti emicranie.

Io dal medico di base non ci voglio più andare, non voglio più soffrire di emicrania, non voglio più soffrire di niente. Mi sembra di impazzire in un mondo del quale sono solo un ingranaggio e persino decidere di fare figli o comprare casa non è una scelta ma uno step, come direbbe non so chi. Io non sono "non so chi" e voglio dire "gradino", che magari suona démodé ma restituisce la concretezza della scala a chiocciola che devi salire, la stessa per tutti, che al solo guardarla ti fa venire la nausea e le vertigini.

Io non voglio salire su quella scala, magari voglio solo galleggiare a stella in mare aperto o saltare sul materasso ad acqua o scendere in una caverna, per sentire il buio e l'umidità sulla pelle che effetto fa, e poi riemergere per sentire più possente il calore del sole e scalare una montagna e prendere sentieri a caso tra i boschi. Le deviazioni, voglio, e forse anche rubare una rivista e fottermene come fa "Coscimo!”

All'ingresso del mio discount di fiducia c'è una ragazza sui ventisette anni, l'età della segretaria: occhi verdi, capelli biondi con i dread lunghi fino al coccige, un vestitino di lino a strisce rosse gialle verdi e blu: se ne sta lì, col suo backpack da 70 litri, seduta a gambe incrociate. Anche lei mi è simpatica, come "Coscimo!". Più che simpatica, direi bellissima. Più che bellissima: perfetta. Legge sempre. Sarà per questo che mi sembra così perfetta. Una donna giovane, bellissima, seduta per terra sul marciapiede di una strada anonima con un libro di Victor Hugo o Maupassant tra le mani. Sembra uscita da un dipinto: una versione moderna del Fragonard. Ha lo stesso sguardo malinconico e imperturbabile di "Coscimo!" ma, a differenza di lui, tiene sempre la testa alta e la schiena ritta. Sarà la spavalderia tipica della giovinezza.

Io non lo so, sinceramente non lo so, se finirò come "Coscimo!" a rubare i giornali o come la ragazza bionda che legge sul marciapiede.

Forse, per non rotolare giù da quella stramaledetta scala sulla quale tutti spintonano per salire, un giorno di questi, durante una delle mie passeggiate al Porto, mi deciderò ad avvicinarmi al mozzo della Gaia. Dimmi cosa devo fare per salire a bordo.