Sgozzare il linguaggio

Sgozzare il linguaggio
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Sull’opera “Galleggiamento” di Luca Perrone

Luca Perrone è la reincarnazione di Antonin Artaud, passando per Carmelo Bene e Allen Ginsberg.

Salme, corpi marcescenti, deliri, sepolcri, ansia, guerre psichedeliche, sussulti di morte, suicidi, carotidi tagliate, stime perdute, ragni, altari, nudi che sono amplessi. Joy Division, Doors, generazioni tribali, nascita e morte, amore che si rincorre, cinico come un cane che mangia il suo padrone, brama di donne pure e laide, visioni paradisiache e infernali, spose angeliche stuprate. La pelle di lei svanisce nel nulla, schermi narcotici deglutiscono ogni presenza, cerimonie di riti consunti che narrano un presente di matricidi e disperse gozzoviglie senza alcun entusiasmo, tutti asserviti e invasi dal nulla, tutta un’ovazione priva di rispetto, miti di cobra senza amore, una panoplia di servi nel cielo torbido. Perrone dispera per l’ipocrisia del presente, la perdita dell’ideale, dell’amore, la sostituzione della visione con l’illusione del delirio, con il disagio. La tigre può solo sbranare cuccioli come i padroni sbranano gli schiavi, i forti i deboli, i sani i matti. Non esiste perdono, bisogna divorare tutto ciò che perde, la colpa è non essere adatti alla vita, possiamo solo divenire deleuzianamente assassini e poi ci sono l’alcol, gli angeli di Jim Morrison, il godimento erotico, alcol e farmaci che diventano droga e spiriti che baciando cuscini diventano spettri di famiglie e dell’intero occidente in fiamme, la fine di un’epoca devastata, manifesti che non significano nulla, ogni cosa è indifferenza alla devastazione. È uno scenario di guerra conradiano, persino il sogno è squarciato da un futuro morto, il violino color porpora entra lirico e lisergico ma il bambino che prova a parlare è catapultato dall’altro lato della coscienza-torrente, Galleggiamento viene dall’idea di floating: la vasca di deprivazione sensoriale utile alla precognizione, è poker e partita a scacchi con la morte, diventa menzogna e discende nella resa, è un poema sul cedimento, sulla perdita, sul fallimento che tutti siamo diventati, la caduta infinita dell’essere umano che muore in una rivolta impossibile. La visione celestiale è orrore infernale, l’insonnia sovrana è una toppa alla visione, le tre Parche sono sorelle e la vecchia si riveste di caglio, la morte si sbriciola nel pane, vivi sfidano altri vivi, un protagonista scalzo, l’uomo frulla macerie e animali, la gabbia da cui è irretito vortica e anche se scomparisse ogni male trionferebbe la noia e solo la noia come un’austera oscurità. Gli altri si riuniscono solo per scherzo o sorpresa e sono cani contro di lui, ringhiano. Lumache si fingono farfalle, esalazioni infernali vilipendono notti paradisiache, qualcuno decide di essere una coppia ma resta deluso dal fondo di una caverna di matrimoni e parenti, come una frode, si perde. Crani separati da scheletri intonano note macabre, si corre come matti per la grande sommossa che non arriva mai poiché tutto è già stato, tutto il tempo è già vissuto, l’unica bellezza è una mulatta pronta a partorire, c’è solo il silenzio nel peccato del redento che è in realtà irredento. E poi c’è lei, la donna senza remore che si fotte con droghe e alcol, non ci sono speranze di girare il braccio e trovarla nel letto perché non esiste donna che si faccia scegliere. Lui la ama ma lei deve fuggire perché nella fuga ha costruito la sua fortezza. Questo poema vuole essere un poema per ogni giorno, una riga al giorno per ricordarci che siamo schiavi. Questo poema è per lei, per la guerriera che fugge e si droga e non può esserci mai perché è di una crudeltà disarmante e ha deciso di amare non amando mai e lasciare i suoi amori nella morte e nell’oblio ma renderli poeti. Lei è la musa, l’assoluto, per questo si scrive, per lei che è guarigione e malattia. Cagate pure in bocca ai morti ma non pisciate sui loro sepolcri, la paura di morire è un desiderio feroce di morire. Quella donna è solo una sposa morta perché il diniego è una morte, una guerra, una rivolta che non può svegliare il mondo.

Luca si propone di rinunciare alla servitù e lo fa con la parola, la parola libera, slegata, rizomatica, parola senza parola, ritmo puro: Campana, Rosselli, Artaud, Bene, Deleuze, Ginsberg, Joyce, risuonano tra i versi di Galleggiamento. Visione, Verità, Coraggio, Follia, presenza dell’assenza, estasi maniaco depressiva, fuga dall’ennesimo TSO. Luca Perrone non fugge dal destino, domina il mondo con la parola che è luna irraggiungibile, devastazione del silenzio, sete di pelle, pace guerriera. Perrone ha assassinato il linguaggio. Forse non lo capiranno, non adesso almeno, Galleggiamento è pubblicato nel solco dell’eternità.. Sgozzale, uccidile, assassinale! Assassina il linguaggio! Forse non ti capiranno, no, non ti capiranno, non adesso almeno. Hai compiuto un gravissimo delitto, hai sgozzato il linguaggio.