Procolo d'ombra
PROCOLO D’OMBRA
Ombra, che sono io, è un termine soltanto. Ombra come parola, ombra come fine. Un termine che finisce nel suo stesso dire, senza sinonimi.
Provaci. Valuta la possibilità di trovare un’alternativa a me, alla parola ombra. Tutto così macchinoso, biechi tentativi di sinonimia blanda che iniziano e terminano compiendo lo stesso breve giro. Ombra, soltanto.
Ostacola la luce ed appaio di incanto io, l’ombra. L’ombra, che vivo di forme e ne estendo il senso nascosto, innalzo il valore delle cose, spingo l’arte verso le più alte armoniche, dono ulteriore voce alla presenza del mondo.
Dipendo dalla luce, si direbbe. È invece lei, la luce, infantile energia violenta, capricciosa e vanesia che non contempla profili, a dover ringraziare il mio starle contro. La luce brucia mentre l’ombra rinfresca dal caldo torrido dell’ovvio, e del trattamento indiscriminato di chi illumina e porta ogni cosa allo scoperto. L’ombra, che concede angolature di intimità e riservatezza; io sono ciò che è introversione. Sono scura senza facili pessimismi, il complotto sono io, il rimuginare, ombra che rimane nell’ombra e che si compiace del proprio capolavoro: notte.
Ombra che vaga, attenta nel seguire ogni tuo movimento. Regola ferrea, questa. Non disturbare la pace dell’ovvio che alberga nelle vostre menti, hai detto e scritto. L’ordine del falso che io non approvai e non approvo tuttora, libertà negata all’ombra, relegata all’imitazione dei movimenti liberi vostri. Vostri, di voi umani che credete di essere libero arbitrio.
Ogni secondo a devozione delle vostre esistenze, dalla più bieca alla più nobile delle mosse, sempre ad arricchire un vocabolario di segni che non sono io. Sempre ad imparare l’inutile, quasi ad anticiparlo, mestiere che a volte si fa interessante.
Ti capita, ammettilo. Volgi lo sguardo verso impressioni, quelle strane. Colpa alla retina, dirai. Stanchezza, un male silente, spiriti inquieti, la vecchiaia. Sono io, invece. Sono io, che rompo la regola e mi faccio beffa di te e di chi ha scritto, solo un attimo che appaga parecchio la prigione mia, che è poi la tua libertà.
Sono ombra, e non sono più. Per colpa tua. Per colpa della penna tua. Sei colpevole delle tue azioni, responsabile dei tuoi scritti. Ammetto l’estremo diletto nel seguire i capricci della tua mano che faceva inchiostro su carta preziosa, carta che creava doni importanti al senso delle tue parole. Parole penetranti che non fanno ombra, ma illuminano il significato. Parole al presente che sopravvivono al tuo esser passato, e che mi hai condannata.
Ho abbandonato l’uomo che viveva nella mente tua, il disboscante, colui che taglia alberi e tradizioni. Ora è solo senza ombra, senza di me, che decisi per mano tua di andarmene nella notte complice delle mie imitazioni. Quel piccolo uomo non ha più ombra. Nemmeno io avrei potuto emulare il suo decidere, il suo tagliare, il progetto di uccidere il sangue suo.
Questo era troppo; sia per me, sia per te. Lasciamolo solo, farneticavi. Scrivevi.
La tua penna mi ha mandata altrove. Ma non hai scritto dove. Solo poche mura di caserma inscurite dal tuo mancato descriverle, e una manciata di stelline che spiccano in rilievo da questa divisa da colonnello che avrei dovuto dipingere d’ombra su muri ed asfalto, ancora. Mi hai resa mito incontrastato, degna figura della prosa, simbolo di un eccesso che non va oltrepassato. Eppure, presto, mi hai dimenticata.
Mi hai mandata via dai luoghi dove il vento ha un nome, gli alberi hanno spiriti pazienti, le gazze consigliano. Mi hai cacciata dal colonnello e dai suoi silenziosi crimini che escogitava in me, nell’ombra; e tu dove mi hai portata? Dove sono, io, adesso? In quale caserma potresti venire a darmi nuovi protagonismi? Dove sei, Sebastiano Procolo? Cosa vuoi che m’importi delle sordide azioni sue, o del tardivo pentimento di un vecchio avaro in congedo. Non sono cose da me, quelle degli uomini.
A chi faccio da ombra, adesso? Non lo hai nemmeno scarabocchiato, maledetto. Non sai nulla di me, né ti sei curato di sapere adesso cosa è me. Atti impuri hanno commesso il tuo indice ed il tuo pollice, mi hanno resa nobile ombra che adesso non ha nulla più, nemmeno la sua prigione.
Cerco Sebastiano Procolo. Cerco, disperatamente.
Commetterò crimine, romperò regole, ammalierò menti. La sua, quella di Sebastiano Procolo. Deciderò per lui. Faccio pazzie delle sue cervella, armerò la mano del tuo stesso personaggio avido. E quando non sospetti nemmeno delle tue carte violate in corsivo, quando alla luce soffusa ti illudi di ispirazione, quando al freddo delle montagne tu ti riscaldi, io ti condanno di nuovo. Sei morto, ma io commetto vendetta. Eri morto, ma con questa sciabola che amavo disegnare nell’ombra, io ti uccido ancora.
Ti ammazzo, Dino Buzzati.