Uscire dentro

Uscire dentro

Qui è una vita minuscola di tavolo fornelli e quattro ricette – rotazione –, cifre appuntate – sopravvivenza –, freddo appuntito – di vento stiletto, scudiscio o ceffone –, bocchette d’aerazione – umidità di antico centro pietroso –, un letto mucchio in cui cercarmi – strati e depositi –; una vita di unico oblò quadrato – fallimento formale –, entrate e uscite di routine – da casa, da negozio – ma anche di un’altra soglia: soprattutto, ora che inizio a sentirmi postumo e l’istinto di non sopravvivenza mi collega la mente a quella, di un’altra soglia interna a questa vita minuscola di.

Se fai quattro passi dalla porta d’ingresso che ha un nome – gliel’ho dato quando entrambi avevamo un grosso buco al centro e qualcuno è venuto a scardinarci, ripararci e di nuovo incardinarci – nomino per non perdermi – se fai quattro passi da Miriam, dico, oltrepassando i fornelli a destra e il tavolo a sinistra, ti troverai con il letto a sinistra – nel mucchio, scava: probabilmente mi trovi – l’oblò di fronte e l’altra soglia a destra: del bagno.

Da questa porta, ho intuito la scorsa notte o forse solamente adesso, dipende qualcosa di più di quel che c’è – stato? sarà? potrebbe essere? – fra me e Anna, che da Miriam entra ed esce e pure dal bagno, ogni notte, chiudendo sempre la porta – una cornice di luce nel mio buio a nemmeno due metri dalla faccia che dal guanciale fisso –, sempre fino alla scorsa notte… e ora?

L’ho vista per la prima volta sul water, il bagno di luce proiettato per intero sul mio corpo sdraiato e la sua sigaretta; ho sentito il fiotto esaurirsi e i suoi occhi consapevoli rintracciare i miei, fissarli – sfida? provocazione? –; per sortilegio, credo, fissarmi ancora con la testa rivolta di lato a seguire le mani alla carta.

Finalmente accolto, devo essermi rilassato e assopito per mezzo minuto o forse meno: a svegliarmi nel buio tornato uniforme la sua mano sotto il lenzuolo sotto l’elastico sotto.

***

Anna toglie cose: lipogramma vivente, la mia Lipogranna, che bilancia l’esistenza arbitraria giocando di arbitrarie esclusioni, regola lampante contro regola ignota: questa settimana lo yogurt, poi per un mese la parola acqua e per quindici giorni l’empatia, e ancora periodi senza sesso litigi cinema fumo luce musica amici alcol bar lettura fino a quando, chissà per quanto, la x di lipo-x sarò io e sarò perduto, ora che la penso come quella prima notte che era la notte numero quarantasette e come le successive notti: porta aperta e luce e mia, luce mia, e io suo, io che non voglio essere una croce sopra me stesso.

Il giorno è ormai per me un’attesa della notte, e la notte attesa del momento in cui il fascio di luce m’investe, apro gli occhi, l’assenza di lei è nel mio letto e la vedo seduta, sento il suo sguardo – sfida? provocazione? amore? – e seguono umidità indistinguibili l’una dall’altra: facciamo di tutto per non distinguerle l’una dall’altra, per non distinguere l’uno dall’altra, per non distinguerci dal buio, dalla stanza, per non distinguere.

Eppure un dubbio, da sibilo di violino distante a fortissimo d’orchestra nelle orecchie, mi assilla, un dubbio di elefante nella stanza che sia davvero invisibile, o forse il punto è questo: l’assenza dell’elefante: l’elefante è l’assenza, l’assenza non c’è: Anna da quella notte non toglie più nulla.

E io delle cose vedo solo l’assenza, e ora che sento – istinto – che da un momento all’altro ricomincerà, una minaccia che ignoro mi sposta qualcosa dentro, meticolosamente incomprensibile, come un ingranaggio di campanile votato all’inferno.

Manca un’ora al tramonto che traduco in paura.

***

Tutte le cose temute prima o poi accadono: ieri notte, la ventunesima notte che è la sessantottesima notte, Anna si è alzata e ha spalancato la porta del bagno, ha acceso la luce, si è abbassata le mutande e si è seduta sul water, come sempre, però ha assunto l’espressione di chi all’improvviso capisce qualcosa di ovvio e rimane a pensarci – all’ovvietà e a come cazzo abbia fatto a non capire prima – e subito dopo uno sguardo lievemente estraniato – solo lievemente – in direzione mia, che è lo sguardo di ogni notte ma con quella piccola evidentissima percentuale di presenza in meno e il suo braccio che si allunga fino alla maniglia e diminuisce di pochi gradi l’angolo del fascio di luce che mi si arresta in viso tagliandomi gli occhi e solo allora lascia andare la pipì come il resto della nottata che ripete le precedenti con quella piccola evidentissima percentuale di presenza in meno.

Gli occhi cisposi del sonno ancora dentro, lo sento, non sono il motivo della mia vista annebbiata, stamattina; la testa vaga e confusa dell’alcol ancora dentro non è la testa vaga e confusa che indosso guardando la confezione del caffè da inaugurare che non riesco a leggere e faccio cadere per giramento di testa e mi accorgo del dolore al pavimento provocato dall’impatto e di una sfocata fitta alla parete quando sbilanciato la colpisco con un gomito: dolori lievi, solo lievi, estranei e miei contemporaneamente; un ricordo di costruzione come d’infanzia e di Anna come?

Ogni notte è un angolo in meno in cui rifugiarmi, una parte di buio che mi conquista, la pipì di Anna più nascosta e meno scrosciante, una scopata più addormentata, come una gamba che è stata ferma troppo a lungo e sempre meno controllo del mio corpo di qualcun altro, muovendoci e muovendomi mi urto mi uso ho continui dolori ai fornelli, ai piedi, alle pareti e agli interruttori, continui e più intensi; una sensazione di tubature come ossa e di me come?

Fra due notti il buio scenderà sotto il bacino, fra quattro anche le mie gambe non saranno più – finché posso, continuamente, mi conto le dita dei piedi – e fra cinque la porta sarà chiusa, io al buio e lei di là oltre il rettangolo di luce, quando non potrò più alzarmi a controllare la mia Anna, Lipogranna di Schrödinger, e io non sarò più in alcun modo se non diffuso.

Da qui non esiste da qui.

* Il racconto farà parte della raccolta Le regole di questi mondi, in uscita in primavera per Pièdimosca edizioni