Fine

Alla fine del racconto il cane muore.

Spoiler.

La suspence non è fatta per reggere troppo a lungo in questo tipo di racconti; da adesso vorrei che non vi limitaste a leggere, ma immaginate.

Il cane in questione ha quindici anni; non sono un veterinario, non posso dirvi a quanti anni umani corrispondano, ma sono tanti ne sono sicuro.

Nei punti in cui il pelo nero prima era acceso e vivido, adesso è spento e potrebbe apparire come un bianco quasi uniforme.

Non ci sente più tanto bene, e in fondo come potrebbe? Però risponde ancora al suo nome, sente quando prendete qualcosa che scrocchia dalla dispensa, sente quando agitate la carta del pane per farvi un panino, ed è lì accanto a voi a sperare che un pezzo cada per terra.

L’olfatto funziona ancora appieno: quando state apparecchiando per andare a tavola lui è già lì. Mangia eh, ha la sua roba nella ciotola, però volete mettere con quello che avete nel piatto? Nell’ultimo periodo ha cominciato a diventare più schizzinoso, il solito cibo non è più appagante come prima, voi lo prendete in giro; non pensate nemmeno che lo lascia perché non riesce più a mangiarlo. Però sono quindici anni che mastica la stessa roba, può permettersi di fare lo schizzinoso.

Ha iniziato anche a sgambettare ultimamente: le zampe posteriori non reggono più l’andamento. All’inizio era divertente quando sbandava mentre correva, finché non lo vedete che fa fatica ad alzarsi e allora zitti tutti perché non fa più ridere.

Ci sono voluti quindici anni per farlo smettere di pisciare in giro per casa, senza successo. Gli avete urlato una mattina sì e una no quando succedeva, perché eravate voi a dover pulire. Lo sgridavate, abbassava le orecchie, si metteva nella cuccia, qualche minuto dopo veniva a cercarvi per chiedervi scusa e la rabbia cedeva il posto a quegli occhi.

Però d’improvviso smette di pisciare per casa o nel giardino. Aspettate un paio di giorni e il veterinario vi dice che è vecchio, è normale, ma se non urina a breve potrebbe avere problemi ai reni, problemi anche ad altri organi… allora lo riportate a casa, lo guardate andare nella cuccia e aspettate.

La mattina dopo vi svegliate, trovate il piscio per casa e non ve ne frega niente, anzi, siete contenti finalmente di alzarvi e dover pulire.

Gli occhi hanno preso poi un leggero alone bianco, lo stesso che vedete negli occhi di vostro nonno se lo guardate bene.

Tutto procede, quando sentite un colpo. Lo trovate steso per terra in un angolo della casa, andate da lui, cercate di rialzarlo ma non sta in piedi, ansima, sembra quasi che voglia urlare, ma non ci riesce. Vostro padre prende la macchina e vi dice di caricarlo sui sedili posteriori. E voi lo fate. Lo stringete attenti a non fargli male, gli tenete la testa, a lui, che come provavate ad alzarlo ringhiava; ora non riesce nemmeno a respirare a dovere. Ve lo tenete sulle gambe per tutto il viaggio, lo accarezzate dicendogli che andrà tutto bene, perché nella vostra testa, in quel momento, può capirvi.

È ovviamente notte, è sempre notte e l’unico veterinario aperto è a venti minuti di macchina da casa vostra. Lo visitano subito però, lo toccano in vari punti, gli fanno un’iniezione e lui si calma, vi guarda stanco. Prova a rimettersi in piedi, ma è veramente troppo stanco, come quando correva in giardino, quindi sta giù.

Il veterinario vi dice che è normale, è vecchio, bla bla bla…

– Ma ora sta meglio?

– Sì, ma queste medicine non sono una cura. È vecchio, è normale che…

– Lo so che è vecchio, lo so che è normale, lo so che un giorno morirà. Voglio solo sapere se sta meglio o se quello che gli sta dando è un accanimento.

– No, è stato un attacco. Ce ne saranno altri ma queste pasticche lo aiuteranno a superarli, però non è eterno, prima o poi… – e lascia quelle frasi in sospeso, solo a farvi intuire la parola morte.

Come se la morte avesse qualcosa di sbagliato. Tutti moriamo prima o poi: si nasce, si vive, si muore. Ne ho visti altri andarsene prima, e so che ce ne saranno altri che se ne andranno dopo. Anche io me ne andrò un giorno, anche voi, quindi vedete di fare in modo che ne sia valsa la pena. Non vi sto dicendo di accettare la morte, perché non si può imporlo a nessuno: è solo una cosa che a un certo punto capirete da soli.

Ecco che poi succede, all’una di uno schifoso giovedì pomeriggio.

Lo trovate sul pavimento della sala da pranzo, sbava. Il veterinario aveva ragione però, le pasticche sono servite almeno fino a quel momento.

Aspettate, magari si rialza.

No, non si rialza.

E lì capite. Capite che siete a un capolinea. Siete soli in casa con vostra madre e vostra sorella e loro guardano voi. Vostro padre non c’è, è via, siete voi che decidete. – Chiamate il veterinario.

– È in pausa, riattacca alle cinque.

– Mamma, il cane sta morendo.

– Lo so, ma hanno detto così. – Anche sul suo volto c’è stanchezza e preoccupazione, mista alle lacrime. Urlate contro di lei, vi incazzate, ma non serve a niente. Lei capisce e sta zitta. Le chiedete scusa, non l’avete fatto apposta.

Tutti lo guardano da lontano, come se fosse un appestato che ha preso la morte, e sembra non stia guarendo. Vi avvicinate, lo trascinate alla parete, prendete la sua testa e la mette sulle vostre gambe, lì per terra con lui. Vostra madre vi dice che vi sta sbavando sui pantaloni.

Può sbavare quanto vuole.

Lo accarezzate e lui ansima come quella notte, solo che stavolta non smette.

Realizzate che è veramente la fine. Realizzate che l’ultima volta che gli avete lanciato la palla e lui ve l’ha riportata è stata veramente l’ultima. Realizzate che non lo sentirete più abbaiare.

Realizzate tanto.

Poi, dopo quattro ore in quell’angolo arriva il veterinario. Vi vorreste incazzare, dirgli quanto sia figlio di puttana a lasciarvi lì in quella situazione quattro ore mentre il vostro cane vi muore sulle gambe, ma non ve ne frega più niente nemmeno di incazzarvi.

Vi dicono che ci sono due opzioni: uno può farlo stare meglio, l’altra…

– Ma poi starà veramente meglio?

– No, ora è solo un accanimento. Però sta a voi decidere.

– Che vuoi fare? – vi sentite dire e tutto il resto della famiglia vi guarda negli occhi. Vostro padre non è ancora tornato, e non farà nemmeno in tempo; era più facile quando era lui a prendere le decisioni, almeno avevate qualcuno con cui arrabbiarvi dopo.

Che voglio fare? Voglio che stia meglio. Voglio non essere io a prendere questa decisione. Voglio che la morte vada a fare in culo, perché sì, l’accetti, ma quando è il turno di quelli che conosci…

Annuite al veterinario, gli basta per capire. Vi mettete a piangere mentre stringete il cane e continuate ad accarezzarlo; gli ripetete ancora che andrà tutto bene, lo dite per lui, lo dite per voi.

Sentite qualcuno che piange più forte, mentre i vostri occhi sono fissi nei suoi. Poi, con tutta la semplicità di questo mondo, smette di respirare. Fine.

Piangete ancora, tanto di lacrime ne avete e sapete che non vanno sprecate.

Quando trovate il coraggio lo prendete in braccio e lo sentite vuoto. Inconsciamente continuate a ripetergli che andrà tutto bene.

Lo portate in giardino, scavate una buca abbastanza profonda, ce lo mettete dentro assieme ai suoi giochi e lo ricoprite.

In quel momento sentite l’unica domanda che in tutta la vita non vorreste mai sentire da vostra sorella.

– Gli abbiamo dato una vita felice, vero?

E non sapete cosa risponderle, perché non sapete la risposta, però è spezzata in due anche lei, quindi non ha senso dirle la verità, le dite solo quel che sperate: – Sì.

È stato il veterinario, era vecchio, aveva tutti i problemi di questo mondo… le sentite di tutte. Non è colpa vostra, non è mai colpa di nessuno.

Possono dirvi quello che volete, ma siete stati voi a uccidere il vostro cane.