Il cortile

Il cortile

Dalla sala d’aspetto del dentista – al piano terra di un palazzo severo – vedo il cortile interno. Non ci sono auto posteggiate, è vuoto: ci sono solo quattro oleandri e un acero molto alto. Il posto è deserto, il forte vento muove i rami degli alberi incessantemente. Sono qui da un quarto d’ora e guardo fuori per evitare di guardare i quadri che arredano la sala, mi turbano. Di lì a pochi minuti, arriva un’anziana signora che dovrebbe avere appuntamento dopo di me. Si siede composta, ha molte rughe ma s’intuisce che da giovane è stata bella. Mi guarda cordiale e ci salutiamo. Lei prende a sfogliare una rivista mentre io torno a guardare il cortile. Sono attratto dall’osservazione di quello spazio. Sotto il muro di cinta vedo un piccolo bicchiere di plastica, uno di quelli del bar dove si mette il caffè espresso da portar via. Il vento lo fa rotolare avanti e indietro, avanti e indietro. Dall’alto cade qualcosa. È una molletta rossa. Qualcuno sta stendendo, o spiccando ciò che ha steso, ma non arrivo a vedere oltre il secondo piano. La molletta è caduta vicino al bicchiere che però si sposta. Immagino che la perdita di una molletta non spinga il proprietario a venir giù per recuperarla. Ma in cortile non ce ne sono altre, e allora mi viene il dubbio che invece sì. E, infatti, passano meno di due minuti e compare una giovane donna alta e paffuta. Ha le maniche della camicetta rimboccate, i capelli chiari tenuti da una pinza e cammina con passo veloce. Raccoglie la molletta, poi raccoglie il bicchiere di plastica e lo mette in un cestello che non avevo notato, proprio nell’angolo del cortile. Si guarda attorno, spinge lo sguardo sino alla vetrata dietro la quale ci sono io, e mi vede. Istintivamente trattiene la gonna che il vento tende a sollevare. Poi sparisce.

Il cortile torna deserto. Mi chiedo a che piano abiti la signora e cerco di guardare il più in alto possibile appoggiandomi alla portafinestra. Vedo il terzo piano e la signora della molletta che nella veranda ha ripreso a stendere. Stende camicie maschili, anche se mi sembrano uguali a quella che le ho visto indosso poco fa; le stende per le maniche pinzando i polsini, sembrano uomini aggrappati al filo. Saranno almeno dieci e tutte bianche. Nel pinzare l’ultima, le sfugge un'altra molletta. Non credo che tornerà giù una seconda volta ma aspetto curioso. Guardo su: è rientrata in casa. Il vento muove le camicie stese, sembra di vedere l’arrembaggio di uomini bianchi e la caduta di uno di loro, quello con un braccio spenzolante perché senza molletta. L’assistente del dentista si affaccia nella sala e mi chiama: “Prego, ingegner Pastorino, si accomodi”. Guardo l’anziana signora che ha sollevato la testa dalla rivista e le dico: “Signora, passi lei. Preferisco aspettare”. Lei mi risponde: “Non capisco… Ci tengo a conservare il mio turno”. Le spiego: “Mi creda, non lo faccio per cavalleria. Se lei mi precede, fa una cortesia a me. Sto seguendo una cosa qua fuori”, e accenno al cortile. Lei taglia corto: “Va bene, arrivederla”, ed entra nello studio. Io riprendo la mia osservazione e decido di recuperare la molletta. Esco dalla portafinestra, attraverso il cortile e la raccolgo. Quindi rientro. Siccome è ottobre, noto che i rami dell’acero sono quasi del tutto spogli, ma vedo che per terra non c’è neanche una foglia. Qualcuno pulisce tutti i giorni, penso. Passano alcuni minuti poi su un ramo dell’acero si posa un passero, sosta vicino all’ultima foglia che sta attaccata al ramo. Un’improvvisa folata di vento la fa cadere, il ramo ora è nudo, il passero canta brevemente e ne arriva un altro che gli si affianca. Si guardano attorno, in silenzio; poi prendono il volo proprio nel momento in cui la signora della molletta ricompare in fondo al cortile. Forse deve uscire perché ha con sé la borsetta e indossa una giacchina di lana marrone. Ha tolto la gonna per mettere un pantalone nero che la slancia. Cerca la molletta, si guarda attorno ma naturalmente non la trova. Vede sotto l’albero la foglia caduta, si avvicina e la raccoglie. I due passeri tornano a posarsi su un ramo più in alto e cantano. La signora guarda dalla mia parte e accenna al fatto che non trova qualcosa. Le mostro la molletta e lei si accosta alla vetrata. Apro l’anta e gliela do. La mette in borsetta assieme alla foglia e mi dice: “Perché?”. Le rispondo con un’alzata di spalle: “Così… Aspetto il mio turno dal dentista”. E lei: “Venivo anch’io dal dentista. Quasi quasi entro da qui, tanto è uguale”. La faccio entrare e richiudo. Resta in piedi vicino alla vetrata e guarda fuori come me. I due passeri saltellano sul ramo spoglio, uno scende a terra e cammina a zig-zag seguendo chissà che cosa. L’altro vola via. L’assistente del dentista si affaccia nuovamente nella sala e mi chiama: “Ingegner Pastorino, tocca a lei”. Vede la signora della molletta ed esclama: “Signora Boldetti, ma da dov’è entrata? Il suo appuntamento è per domani”.

La signora non si scompone, le risponde e intanto guarda me: “Forse l’ingegnere mi fa passare al suo posto, è vero? Magari domani viene lei”. Sto per replicare con un secco no, ma mi distraggo perché il passero è arrivato fin sotto la portafinestra e sta beccando sul vetro. Mi giro verso il cortile e alle mie spalle sento l’assistente che dice: “Allora?”. Senza voltarmi le dico: “Vada per lo scambio. Io torno domani”. Il passero prende il volo e scompare. Guardo i rami spogli dell’acero, l’autunno ha fatto il suo lavoro. Cerco di contare i rami più robusti ma non è facile. Ne conto venti, forse ventuno. Lo chiederò alla signora della molletta, anzi alla signora Boldetti, così si chiama. Arriva un nuovo paziente, è un signore di mezza età, tarchiato, con una corta barba ben curata. Mi saluta e subito mi chiede: “C’è lei?”, “No,” gli rispondo, “io ho già fatto, sto solo guardando cosa succede nel cortile.” Lui si avvicina e m’interroga: “Perché, cosa succede?”.

“Per ora niente, ma prima son cadute due mollette e una signora è scesa per raccoglierle. È entrata nello studio del dentista. Se aspetta vedrà che ogni tanto compaiono due passeri che si posano sui rami dell’acero.”

“Beh, ma perché stare così a guardare dei passeri?”

“È bello. Perlomeno io lo trovo bello, mi rasserena. E poi ogni tanto cadono anche mollette.”

Lui mi guarda, è interdetto e chiude la conversazione con un: “Ho capito”. Prende una rivista femminile, osserva l’immagine di copertina, poi si siede e la sfoglia al contrario, dalla fine. Io riprendo a guardare fuori. Si mette a piovere. Grossi goccioloni bagnano il cortile. Guardo su, le camicie bianche tarderanno ad asciugare, penso. E invece in quello stesso istante vedo un tizio, bruno di capelli, che in gran fretta le sta spiccando e portando dentro casa. Quando termina anche la pioggia smette. Alle mie spalle sento che dallo studio del dentista sta uscendo la signora Boldetti. Mi sposto nell’atrio, e prima che esca, a mezza voce, le dico che suo marito ha tolto le camicie perché è iniziato a piovere. “È mio padre”, risponde, e aggiunge: “Ma perché me lo dice?”, “Così, tanto per farle sapere. Ho notato che lei le ha stese al contrario di come le stende mia moglie.” E lei: “E che cosa cambia?”, e io: “Niente, solo che in quel modo m’è sembrato di vedere l’assalto di dieci uomini al suo balcone”. Sorride ma non mi risponde, gira i tacchi e va via. Torno vicino alla vetrata e con gioia noto che i due passeri sono di nuovo sull’albero. Saltellano da un ramo all’altro, salgono e scendono come per seguire un ritmo ben preciso. M’intenerisco e decido di gettare loro un po’ di briciole di pane. Intanto il signore tarchiato è entrato dal dentista; nella sala d’aspetto sono nuovamente solo. Apro la portafinestra, esco, e dal centro del cortile guardo verso il terzo piano. La signora Boldetti è già sul balcone e sta ristendendo le camicie bianche, ma stavolta le stende con le maniche all’ingiù. E non posso fare a meno di pensare che l’assalto degli uomini bianchi sia stato respinto e adesso, sconfitti, spenzolano a testa in giù. Le chiedo se può gettarmi un pezzo di pane per i due passeri. Mi dice: “Non compro pane, faccio la dieta”. Le rispondo: “Neanche suo marito mangia pane?”, e lei: “Le ho detto che è mio padre”.

“E neanche suo padre mangia pane?” Da dentro casa sento la voce di un uomo che in tono sostenuto dice: “Giovanna, con chi stai parlando? Puoi venire dentro?”, e lei sparisce. I due passeri sembra quasi che abbiano capito che non arriverà nulla per loro. Quando passo sotto l’acero volano via e chissà dove andranno, beati loro. Rientro nella sala d’aspetto e mi si para davanti l’assistente: “Ingegner Pastorino, sono le cinque, tra poco lo studio chiude. Allora, il suo appuntamento è per domani alle quattro”. La saluto ed esco in strada. Sull’altro marciapiede vedo un panificio. Entro, compro mezzo chilo di pane all’olio, il più bello che c’è. Chiedo alla negoziante se conosce la signora Boldetti e lei mi dice di sì. Le chiedo se può farle arrivare il pane che ho appena comprato. Lei chiama un ragazzino che sbuca fuori dal retrobottega, forse suo figlio, e gli dice di portare il pane alla Boldetti, a nome mio. Quello esce, ma subito la negoziante si ricorda che la signora Boldetti compra solo pane integrale. E infatti, quasi subito, il ragazzino rientra con la busta. Dice che la Boldetti del pane all’olio non sa che farsene. Gli chiedo se le ha detto che glielo manda Pastorino. Il ragazzino mi guarda, fa una faccia furbetta e replica: “La signora mi ha risposto che non conosce nessun Pastorino. Comunque, ha anche detto che se gli voglio portare del pane integrale per lei va bene”. Mi riprendo la busta, saluto, esco dal negozio e mi dirigo verso casa.

L’indomani alle quattro sono di nuovo nella sala d’aspetto del dentista. Questa volta di gente ce n’è parecchia: c’è una coppia, marito e moglie, lei bionda e lui rosso di capelli e con la faccia piena di lentiggini; poi c’è un ragazzo pallido e magrissimo, il collo da giraffa, le dita lunghe e sottili come matite; e infine ci sono altre due donne, quasi sicuramente madre e figlia, vestite uguali, in piedi sullo stipite della porta pronte a entrare nello studio. Io attraverso la sala e mi metto vicino alla portafinestra, e guardo il cortile. Tutto è come ieri solo che oggi non c’è un filo di vento. Cerco di valutare quanto è ampio lo spazio racchiuso dal muro di recinzione. Saranno venti metri per venti, penso. Ad ogni angolo c’è una pianta di oleandro, e al centro c’è l’acero, dove si posano i passeri. Noto anche che di fianco al cestello dove ieri la signora Boldetti ha buttato il bicchiere di plastica c’è una panchina in legno addossata al muro. Mentre faccio queste considerazioni, sento che la sala d’aspetto si anima: tra la coppia del signore con le lentiggini e le due donne (madre e figlia) ferme sullo stipite, si accende la discussione perché ognuno sostiene di dover entrare per primo. Chiamano l’assistente, e questa consulta l’agenda con gli appuntamenti e si accorge che ha segnato lo stesso orario per entrambe le coppie. Si scusa più volte e chiede che si mettano d’accordo tra loro. C’è un momento d’imbarazzo, al che interviene il giovane pallido: “Potreste decidere in base all’età. La coppia che ha più anni ha la precedenza”. L’imbarazzo anziché attenuarsi aumenta perché nessuno dei quattro vuol dire i suoi anni. Intanto, mentre loro vanno avanti così, noto che i due passeri sono tornati a saltellare sui rami dell’acero. E allora faccio io una proposta: “Chi è interessato a seguire il gioco di due passeri sui rami dell’acero può aspettare il prossimo turno”. Tutti e quattro mi guardano sorpresi, poi guardano fuori, verso l’albero, e si accostano alla portafinestra. L’assistente ripete: “Allora, che si fa?”. Tutti e quattro si voltano e, sovrapponendo le loro voci propongono: “Ma non potrebbe entrare il ragazzo? Noi intanto guardiamo un po’ il gioco dei passeri, poi si vedrà”. L’assistente, con l’espressione di chi si chiede dove sia capitata, allarga le braccia e si rivolge al ragazzo: “Vabbè. Ludovico, accomodati”. Restiamo in cinque attorno alla vetrata. In silenzio scrutiamo il cortile e osserviamo il gioco dei due uccellini che oltre a saltellare adesso cantano. Il signore con le lentiggini propone di aprire la portafinestra per sentire meglio il canto. Apro mezza finestra e restiamo così, a lungo, ad ascoltare, è un piacere. Dopo un po’ Ludovico esce dallo studio e la coppia madre e figlia si precipita a invitare gli altri due a entrare per primi nello studio, loro vogliono ancora ascoltare il canto dei passeri. Quando alla fine arriva il mio turno, il dentista, il dottor Baratta, si affaccia nella sala, si toglie il camice e mi dice: “Ingegner Pastorino, oggi è stata una giornata terribile. Come vede si sono accavallati diversi appuntamenti e ormai sono stanchissimo. Se non le dispiace, preferirei che tornasse domani alla stessa ora. Le andrebbe bene?” A me non sembra vero: “Per me non ci sono problemi, anzi mi fa piacere. Torno domani alle quattro. Arrivederci”.

Quando esco dal palazzo attraverso la strada ed entro nel panificio. La negoziante appena mi vede esclama: “La signora Boldetti mi ha chiesto di preparare per lei, ingegner Pastorino, un cartoccio di briciole per gli uccellini”. Dal retrobottega esce il ragazzino che ridendo aggiunge: “Ma tu fai come San Francesco?”. Rido anch’io, e ride anche sua mamma. Prendo il cartoccio e gli dico: “Vieni domani alle quattro nello studio del dentista. Gliele diamo insieme le briciole. Va bene?”.

Lo studio del dentista non è lontano dal mio ufficio, saranno cinquecento metri. Perciò alle quattro meno un quarto smetto di lavorare (sto progettando la ristrutturazione del piccolo museo del giocattolo) e mi avvio a piedi. Quando arrivo sono le quattro in punto. Il figlio della negoziante è già davanti all’ingresso del palazzo. Si avvicina, gli chiedo il suo nome: lui si chiama Marco; Marco Martinelli, aggiunge. Ha con sé un cartoccio di briciole di pane. “Hai fatto bene a portarlo perché io l’ho dimenticato in ufficio,” gli dico. Entriamo dal dentista. Nella sala d’aspetto non c’è nessuno. Per un attimo guardiamo il cortile che come al solito è deserto, e anche i due passeri non si vedono. Do uno sguardo al terzo piano: ci sono dieci paia di pantaloni neri stesi a testa in giù. L’assistente entra nella sala e mi dice che il dentista mi aspetta. Poi rivolgendosi al ragazzino, che evidentemente conosce, con tono ironico, dice: “Tua madre mi ha spiegato tutto poco fa. Mi raccomando, Marco, non combinare guai. Se vuoi stare un po’ in cortile va bene, ma non dare troppa retta all’ingegner Pastorino. Sembra serio serio ma in pratica fa le stesse cose che fai tu…”. Ridiamo tutti e tre, poi dico a Marco di aspettarmi che arrivo tra poco ed entro dal dottor Baratta. Mi sta devitalizzando un dente, ma riesce a non farmi sentire dolore. Torno in sala d’aspetto e a sorpresa mi trovo davanti le due signore di ieri (madre e figlia) e pure il signore con le lentiggini e sua moglie. Chiedo: “Come mai siete qui anche oggi?”, e loro: “Abbiamo saputo dalla signora Martinelli che lei deve dare le briciole ai due passeri, ci siamo incuriositi”. Marco è già in cortile, lo raggiungiamo, ma dei passeri neanche l’ombra. Ci teniamo distanti dall’acero e aspettiamo nell’angolo vicino alla panchina. Durante l’attesa guardo su e vedo la signora Boldetti che spicca i pantaloni, li rovescia e li stende a testa in su. Nel silenzio del cortile le chiedo: “Come mai?”, e lei: “A mio marito non piacciono a testa in giù”. Rispondo: “Ma non aveva detto che sta con suo padre?”, “Ieri sera è arrivato mio marito. Lui va e viene.” All’improvviso arrivano i due passeri e si posano su un ramo dell’acero. Dico a Marco di andare sotto l’albero e di spargere le briciole, noi aspettiamo nell’angolo. I passeri scendono e mangiano, sembrano felici. Pochi secondi dopo uno dei pantaloni della signora Boldetti cade giù. I passeri volano via e chi mi circonda guarda verso il terzo piano e inveisce contro la signora: “L’ha fatto apposta”, dicono in coro. L’assistente del dentista si affaccia in cortile e chiede a tutti di uscire perché lo studio deve chiudere. Raccolgo i pantaloni caduti, esco dallo studio e sosto nell’atrio del palazzo. Frugo nelle tasche dei pantaloni e in una trovo un bigliettino da visita, umido e sgualcito, con su scritto da una parte: James Matteini – Free Lance Clown, e dall’altra: Giacomo Matteini – Pagliaccio Indipendente, e più sotto, su ambedue le facce, un numero di cellulare. Tengo il bigliettino e chiedo a Marco di andar su dalla signora per riportarle i pantaloni, io aspetto nella tromba delle scale. Lui corre leggero e dopo pochi secondi suona il campanello. Sento che parla con un uomo il quale un attimo dopo si affaccia sulle scale e mi dice: “Per caso ha trovato anche un bigliettino da visita?”. Guardo su e vedo una persona giovane quanto la signora Boldetti, con lunghi capelli grigi raccolti sulla nuca in una coda di cavallo. Gli chiedo: “Lei è il papà della signora?”, e lui: “Mi prende in giro? Il bigliettino, l’ha trovato o no?”, e io: “Magari è in uno degli altri che sono stesi sul balcone…”, e lui: “Ce n’è uno in ogni pantalone. Quindi c’era anche in questo…”. La signora Boldetti si affaccia sulla tromba delle scale e mi dice: “Lasci stare. Magari si è sfilato dalla tasca ed è rimasto in cortile. Ormai è quasi buio e non si vede bene. Domattina mio marito riparte, deve essere a Londra entro mezzogiorno. Proverò a cercarlo io domani pomeriggio”. Le rispondo: “Va bene, signora. Comunque, posso provare anch’io. Devo tornare dal dentista giusto domani alle quattro e sono certo che torneranno anche i signori che volevano vedere i due passeri mangiare le briciole”. Marco riscende le scale, ci diamo appuntamento per domani anche se, in effetti, la mia prossima visita è prevista per la settimana successiva. Quando rientro a casa, col ferro da stiro cerco di asciugare il bigliettino da visita e noto qualcosa cui non avevo fatto caso: il numero di cellulare sulle due facce del bigliettino è diverso! Siccome in casa ho un apparecchio telefonico fisso che maschera il mio numero, compongo prima uno e poi l’altro. Al numero di James Matteini risponde la segreteria telefonica con una voce maschile che parla in inglese, al numero di Giacomo Matteini risponde un’altra segreteria con la stessa voce ma in italiano. Ma mentre la prima dice che il clown James è impegnatissimo per i prossimi dodici mesi e consiglia di richiamare tra un anno, la seconda dice che il pagliaccio Giacomo è malato, che ne avrà per un bel po’, e consiglia anch’essa di richiamare tra dodici mesi. Metto via il bigliettino e me ne vado a dormire.

Anche oggi interrompo il lavoro di progettazione alle quattro meno un quarto per andare nello studio del dentista. Quando arrivo li trovo tutti nell’atrio del palazzo: Marco Martinelli col cartoccio delle briciole, la coppia madre-figlia anche loro con una scatolina di mangime per gli uccelli, il signore con le lentiggini con sua moglie, la signora Boldetti che oggi indossa i pantaloni neri e una delle camice bianche che avevo visto stendere nei giorni scorsi, l’assistente del dentista, la negoziante madre di Marco, lo stesso dentista dottor Baratta che avverte tutti che in via eccezionale oggi non farà visite, vuole assistere anche lui a quanto stiamo per fare: gettare briciole di pane ai due passeri. Entriamo nello studio e da lì, attraverso la sala d’attesa, usciamo tutti nel cortile. La signora Boldetti si mette a cercare il bigliettino da visita perso ieri. Anch’io faccio finta di aiutarla per poi tirar fuori il bigliettino senza esser visto. Quando, fingendo di averlo ritrovato, glielo do, la signora lo strappa immediatamente e butta i pezzetti nel cestino dove giorni fa aveva buttato il bicchiere di plastica che il vento faceva rotolare. Le chiedo: “Perché l’ha strappato? Suo padre ieri lo cercava con impazienza… Sa che si è arrabbiato quando gli ho chiesto se era suo padre?”, e lei: “Non è mio padre, e non voglio che si venga a conoscenza dei nostri numeri di telefono privati. Tutto qua”, e io: “Bastava non stampare i bigliettini da visita. Giacomo Matteini, il pagliaccio Giacomo, è suo marito? Risulta che è malato per un anno, ma a partire da quando?”, e lei: “Non c’è nessun malato. Comunque, adesso pensiamo agli uccellini”. Faccio un cenno a Marco perché sparga un po’ di briciole sotto l’acero in modo da richiamare i passeri. Aspettiamo col fiato sospeso e dopo meno di un minuto i due uccellini arrivano e si posano sul ramo più basso. Si guardano attorno e finalmente scendono a terra e iniziano a mangiare il pane. La coppia madre-figlia vorrebbe spargere anche il mangime che hanno portato loro ma io dico di aspettare. Quando i due passeri hanno terminato – e la cosa è durata non meno di un quarto d’ora durante il quale tutti i presenti sono rimasti immobili e a bocca aperta – son volati sul ramo più alto e si son messi a cantare. A quel punto la coppia madre-figlia ha commentato: “Se hanno iniziato a cantare è segno che sono sazi. Vuol dire che il mangime lo diamo alla signora Boldetti che magari domani, dalla sua veranda, potrà spargerlo nel cortile”. Ma la signora ha rifiutato: “Io domani devo partire, vado a Stoccolma e non posso prendere questo impegno. Lasciate la scatolina all’ingegner Pastorino, verrà lui domani. È o non è l’animatore di questo cortile?”. Il dottor Baratta mi ringrazia per lo spettacolo e ci chiede di uscire tutti. Mentre ci spostiamo il signore con le lentiggini dice: “Forse non è il caso di dare quel mangime ai due passeri. Sarebbe meglio continuare con il pane, mischiare i cibi potrebbe fare male a quelle povere bestiole”. Nell’atrio del palazzo tutti si salutano soddisfatti, è stato un bello spettacolo, e vanno via. Anche la signora Boldetti imbocca le scale per rientrare nel proprio appartamento. Dalla tromba delle scale le chiedo: “Suo marito a Londra, lei a Stoccolma… ma lascia solo suo padre?”. E lei: “Guardi che non c’è nessun padre né marito né altro. Io vivo sola, quelli che ha visto sino a oggi sono domestici. Buonasera”. Sul tardi ho telefonato al dottor Baratta. Gli ho chiesto se può anticipare la cura del mio dente a domani pomeriggio in modo che io possa portare le briciole di pane per i passeri. Ha detto di passare alla chiusura dello studio, verso le cinque, e troverà un momento anche per me.

Arrivo nella sala d’aspetto con un po’ di anticipo, non c’è nessuno. Mi metto alla portafinestra e guardo il cortile deserto. Esco, raggiungo l’acero e spargo le briciole di pane tutt’attorno. Poi rientro nella sala perché anche oggi c’è un forte vento come la prima volta. Aspetto che arrivino i passeri, chissà. Mentre sto così, una molletta rossa cade da qualche balcone. Guardo in alto ma non vedo nessuno. Resto incerto se uscire a raccogliere la molletta o no. Un attimo dopo compare la signora Boldetti. Indossa la stessa camicetta con le maniche rimboccate e la stessa gonna ampia del primo giorno. Raccoglie la molletta ma un’improvvisa folata di vento le solleva la gonna. La trattiene e guarda verso la mia parte, mi vede, tira fuori la lingua e scappa via. Poco dopo esco nel cortile e guardo su. La signora ha ripreso a stendere le dieci camicie bianche, solo che adesso le stende a due a due, unite. Sembrano tante coppie di amanti che si abbracciano. Le dico: “Ma non doveva partire per Stoccolma?”, e lei: “Capisco che non conosce il Nuovo Monopoli! Si gioca in tre e si viaggia per Londra, per Stoccolma e per altre otto città. Diversamente a cosa mi servirebbero le dieci camicie bianche…” Le chiedo: “E quel bigliettino da visita di Giacomo il pagliaccio?”. E lei: “Ingegner Pastorino, lei i giochi da tavolo proprio non li conosce. Il bigliettino è una di quelle schede che stanno al centro del gioco e che ogni tanto si pescano…”. L’assistente del dentista si affaccia nel cortile e mi dice che lo studio sta chiudendo. Di ritorno a casa passo nel negozio di giocattoli per comprare il Nuovo Monopoli. La commessa mi dice che non esiste alcun Nuovo Monopoli. L’unica novità tra i giochi da tavolo è un gioco italiano che sta piacendo molto e che tutti comprano. Si chiama La Molletta Rossa.

Lo compro e corro a casa impaziente. Stasera proveremo a giocare in tre: io, mia moglie e mio figlio che ha quattordici anni. Mentre aspetto che sia pronta la cena comincio a consultare il libretto delle spiegazioni e scopro che i protagonisti del gioco sono: un dentista, la sua assistente, un’anziana signora con le rughe ma bella, un giovane pallido e magro con le dita lunghe come matite, un signore tarchiato con una corta barba ben curata, una coppia, moglie e marito con le lentiggini, due donne, madre e figlia vestite uguali, la negoziante di un panificio e il suo figliolo, e infine un ingegnere che ragiona come un bambino.

Apro il cartone del gioco che nella scatola è piegato in quattro, lo stendo sul tavolo e vedo che al centro c’è disegnato il cortile di un condominio con in mezzo un grande albero spoglio e a ogni angolo delle siepi verdi. Fuori son tracciate le strade della città con qualche insegna: un panificio, un negozio di giocattoli, lo studio di un dentista, l’ufficio di un ingegnere. In una strada laterale è disegnato un clown che si esibisce davanti a una piccola folla, alle spalle del clown è seduta una donna giovane e paffuta che indossa una camicetta bianca con le maniche rimboccate e pantaloni neri. Nel grembo tiene un cestello pieno di mollette rosse.

Raggiungo mia moglie e mio figlio che sono già a tavola per la cena e dico loro che ho comprato il nuovo gioco La Molletta Rossa. Mio figlio mi risponde: “Ma papà, aggiornati. Lo conosco da sei mesi e sono già stufo di giocarci”. Guardo mia moglie e anche lei mi dice: “Maurizio, lo conosco anch’io. Al circolo ho partecipato a un torneo intitolato proprio La Molletta Rossa. Ha dominato tutti una tizia sempre in camicia bianca e pantaloni neri, mi pare si chiami Boldetti, una fuoriclasse”.

Ho richiuso il gioco e l’ho messo via. Penso che domani lo farò vedere a Marco Martinelli. Vorrei proporgli di giocare con me, ma è un ragazzino molto sveglio e potrei sentirmi dire che come ingegnere sono proprio una frana. Questo perché, in effetti, io e lui, da diversi giorni, non abbiamo fatto altro che interagire con le stesse persone e con le stesse cose, ma nella realtà, e che quindi di rifarlo nella finzione per lui non ha senso.

Al diavolo tutto. Sarà il caso che concluda in fretta la cura del mio dente e che torni a occuparmi del progetto di ristrutturazione del Museo del Giocattolo.

Poi quando l’avrò ultimato regalerò La Molletta Rossa proprio al museo.

E Amen.