Fernandella
La mia amica Fernandella ha imparato a leggere intorno ai diciotto anni perché Fernandella fino a quell’età si è sempre rifiutata di imparare, se qualcuno le diceva «dai leggi qua, cosa c’è scritto?», lei metteva il broncio o scuoteva la testa e rispondeva decisa «imparo più tardi». Lei è nata come me in questa valle ventosa e cresciuta in effetti nel mio stesso isolato, io e lei abbiamo fatto l’asilo insieme e anche le elementari e eravamo persino vicini di casa. I nostri genitori si scambiavano spesso favori per tenerci quando volevano andare a teatro o a farsi una cena al ristorante eccetera, una volta quelli di Fernandella una volta i miei, così che io e lei stavamo spesso insieme anche le sere dopo la scuola: si capisce quindi che il rifiuto di Fernandella non era motivato da fattori come li chiamano socio-economico-culturali e neanche da un cosiddetto impedimento neuro-linguistico come l’afasia o l’iperlessia o cose così che la mettevano in imbarazzo. Fernandella avrebbe potuto imparare benissimo, ma lei diceva «imparo più tardi», e per questo rifiuto lei non leggeva.
Io invece ho imparato a leggere più o meno come tutti gli altri bambini perché io ho cominciato a rifiutare di fare le cose molto più tardi di Fernandella, che in quanto a rifiuti è stata davvero precocissima. L’ho vista rifiutare carezze, vestiti, addirittura la cioccolata (il suo cibo preferito è sempre stato la pizza bianca). Io al contrario non ho fatto mai resistenza, anzi per quanto riguarda la lettura devo dire di aver mandato giù l’addestramento anche prima delle scuole elementari perché mia madre mi aveva costretto a leggere quando ancora andavo all’asilo: per questo quando ho cominciato le elementari io già sapevo l’alfabeto a memoria, sapevo benissimo cosa erano le sillabe e sapevo scrivere e leggere tutti i nomi degli oggetti che erano in casa, quelli dei vicini e di tante altre cose, persino i nomi delle categorie grammaticali. Ero così avanti rispetto agli altri compagni di classe che sono stato naturalmente preso a calci proprio dagli altri compagni di classe. Per non farmi più prendere a calci proprio dagli altri compagni di classe io ho dovuto fare finta di non sapere nulla, che era stata fortuna, imparando a stare in silenzio pugno dopo pugno. Questo mio precoce addestramento alla lettura e al silenzio mi ha favorito anche nelle altre materie, storia geografia ma soprattutto musica e matematica, non solo perché sapevo già leggere e scrivere da tre anni ma anche perché avevo già imparato un linguaggio e su quello diciamo così capitalizzavo l’apprendimento degli altri linguaggi, in particolare quello musicale e quello matematico, nei quali ben presto ho sorpassato di gran lunga il livello delle elementari e anche delle scuole degli anni successivi, e per questo la mia abilità nel fingere aumentava di pari passo con la difficoltà della messa in scena. Risulta quindi chiaro che fin dalle elementari ho dovuto mentire senza ritegno al fine di proteggermi dai calci e dai pugni, ed è stato solo per via della situazione della mia amica Fernandella che questa mia menzogna a volte potevo trascurarla e trascurandola dimenticarla, perché lei era più colpita di me.
Per via del suo ostinato rifiuto a leggere Fernandella ha passato anni in un certo senso terribili. È risaputo infatti che i bambini delle elementari sono in proporzione le creature più cattive e più infami, e Fernandella si era praticamente auto-collocata come vittima per eccellenza di queste creature malvagie nel momento stesso in cui aveva rifiutato di seguire le lezioni di italiano e quindi di imparare a leggere e scrivere come tutti gli altri. Era stata affidata all’insegnante di sostegno e quando quello non si curava di lei Fernandella era tempestata d’offese spinte sputi eccetera. Fin dalle prime settimane delle scuole elementari e fino alla fine delle elementari e la fine delle medie lei Fernandella è sempre stata torturata da questi mostriciattoli, eppure lei è sempre rimasta salda, ha sempre resistito granitica, un bellissimo fiore mai piegato dalla furia dei venti malsani. Io le sono stato al fianco come ho potuto, in buona parte perché era mia amica, ma anche perché mi faceva comodo. Siamo cresciuti così unendoci sempre di più, allo stesso tempo sempre più distanti. Io devoto al silenzio scrivevo pagine che lei non leggeva, e lei abituata a parlare per difendersi faceva lunghi monologhi a cui io non aggiungevo nulla. Poi un giorno a ridosso del suo diciottesimo compleanno Fernandella mi aveva detto «da domani imparo a leggere», e nel giro di un anno è tutto cambiato.
Fernandella a quel punto veniva da me e prendeva i miei libri (sia quelli scritti da me che quelli scritti da altri), li leggeva nel mio squallido monolocale e poi voleva parlarne, ma a parlarne alla fine ero solo io. Lei mi ascoltava in silenzio dopo avermi fatto qualche domanda e intanto sfogliava le pagine. Una sera aveva detto «questa cosa della scrittura è come un incantesimaccio», e io le ho riso in faccia, sia perché aveva detto quella parola con espressione molto seria sia perché di quella parola mi aveva fatto ridere il suono. A causa del mio precoce addestramento al linguaggio già in tenera età i significati delle parole avevano cominciato a svanire all’improvviso per lasciare il posto solamente al loro suono. Per tentare di fissare i significati mi sono concentrato sulle loro posizioni, le cosiddette categorie grammaticali. Molto presto però mi era diventato impossibile considerare altre cose, come per esempio il significato della precocità del mio addestramento o dell’addestramento stesso o il significato di quello che scrivevo al di fuori del suono, dell’atteggiamento di mia madre, del silenzio, della mia amica Fernandella che si rifiutava di leggere e scrivere e che diceva sempre «imparo più tardi» a chiunque tentava di insegnarle a leggere.
La prima volta che ho potuto fare considerazioni diverse ci sono riuscito leggendo un articolo proprio di Fernandella, pubblicato sul giornale della mia Università, un articolo sulla metafora morfologica su cui io stesso avevo tutta l’intenzione di scrivere un saggio concentrandomi in particolare sulla morfologia denigratoria. È stato leggendo un articolo scritto da Fernandella che ho cominciato ad essere in grado di fare considerazioni sull’apprendimento del linguaggio ed è stato proprio allora che ho capito perché fino a quel momento non ero stato capace di formulare la minima considerazione riguardo al mio precoce addestramento al linguaggio, «perché?», mi chiedeva Fernandella, e ogni volta che provavo a spiegarglielo mi perdevo in un delirio che mi paralizzava senza speranza e che certe volte mi faceva stare male per giorni. Fernandella allora capiva subito il mio stato delirante e non chiedeva più niente, in questo modo si prendeva cura di me, e io credo di aver continuato a frequentare la mia amica Fernandella anche dopo le scuole medie proprio perché si è sempre presa cura di me, soprattuto quando ha cominciato a leggere e a scrivere anche lei.
Ho sempre invidiato la prontezza mentale di Fernandella. In un certo senso la sua prontezza mentale mi ha tenuto attaccato a lei e reso mentalmente più pronto. Ai tempi delle scuole medie e delle superiori io non dicevo prontezza né tantomeno mentale e in effetti non sapevo proprio come chiamare quella cosa che invidiavo così tanto a Fernandella. Ben presto ho scoperto di non avere alcuna possibilità di sapere cosa fosse, e ora uso questa frase prontezza mentale che però non mi ha mai convinto, una considerazione questa che ho potuto fare solo molto tardi quando la mia prontezza mentale era divenuta finalmente in grado di reggere l’urto devastante di una riflessione ostinata sul linguaggio e sul suo apprendimento. Da quel periodo in poi ho cominciato a inventare nomi per cose come la prontezza mentale, che con Fernandella chiamiamo ciucciuff.
Il termine ciucciuff è venuto fuori un giorno in cui io e Fernandella parlavamo di uno studio che io e lei avremmo dovuto cominciare insieme e nel corso del quale avremmo investigato cosa succede quando si legge, ci chiedevamo: cosa succede quando leggiamo per esempio il periodo un vento di scirocco determinerà un aumento delle temperature di almeno?, ci chiedevamo cosa succede quando leggiamo quel periodo e quando leggiamo le parole che formano quel periodo. Naturalmente a questo punto sapevamo entrambi che si può leggere senza capire i significati ma noi ci eravamo prefissati di studiare proprio quel passaggio che avviene quando si legge e i significati si capiscono, la parola vento,oppure la parola scirocco, delle temperature, (aumento!!), ci chiedevamo: come facciamo a farci un’idea dell’aumento delle temperature a causa di un vento? Queste domande ci affascinavano e allo stesso tempo ci deprimevano, a un tempo ci rendevano stranamente felici e a un tempo ci atterrivano totalmente. Eravamo d’accordo che per intraprendere un lavoro di questa profondità dovevamo avere tutto il ciucciuff possibile - si può dire anche la ciucciuff, tutto il o la ciucciuff possibile, - proprio perché un’investigazione di questo tipo, già lo intuivamo, ci avrebbe condotto in posti vastissimi e intricatissimi, qualcosa che noi per gioco ci siamo rappresentati come una città antica e sott’acqua piena di vie e viuzze e brulicante di flora fauna e oggetti e sempre interamente sommersa, perché già sapevamo che potevamo stare in quella città non più di una manciata di secondi per volta e che per rimanerci sempre più a lungo dovevamo allenarci, diventare più pronti, principalmente più pronti mentalmente, «dobbiamo pompare la ciucciuff al massimo!», ci dicevamo, quando le domande che ci eravamo posti ci esaltavano, quando invece le domande ci deprimevano entrambi provavamo vergogna persino a parlare di questo progetto, ci vergognavamo persino di guardarci, io in lei vedevo la follia delle domande e lei in me, come mi ha detto, vedeva la follia delle domande. Quando eravamo sconfitti il nostro tempo ci sembrava buttato al vento, era invece meraviglioso e potente come una tempesta quando eravamo su di giri. E visto che avevamo questi sbalzi sempre insieme, quando eravamo esaltati l’esaltazione era così tanta che non potevamo fare altro che essere esaltati, quando eravamo depressi nessuno dei due aveva neanche la forza di guardare l’altro, nemmeno di sentire l’altro parlare, respirare, niente, e il lavoro ovviamente era impossibile.
L’ultima volta che ci siamo incontrati per lavorare a questa investigazione i progressi fatti ci avevano condotto di fronte a una cattedrale circondata da nubi scure, la cui entrata era in effetti inaccessibile per via di un burrone che divideva senza speranza noi dall’entrata e che era attraversato da venti violentissimi. Ci eravamo chiesti: per capire qualcosa di questo linguaggio dobbiamo forse decifrare questi venti violenti? Li abbiamo misurati, credendo di risolvere tutto, ma non risolvevamo e questo in definitiva era tutto quello che abbiamo potuto sapere. Fernandella aveva detto «possiamo misurare quanto vogliamo ma quello che succede quando dico le parole ti amo non lo sapremo mai, tu le ascolti e tutto cambia per sempre, anche se quelle due parole così come le ho dette sono andate via con il vento in un istante», e allora ci eravamo chiesti: ascoltare è la stessa cosa che leggere? Quando leggiamo stiamo in effetti ascoltando? E l’uragano ci aveva condotto di qua e allo stesso tempo di là.
Di qua avevamo fatto alcuni esperimenti, ci scrivevamo e ci dicevamo ti amo, a turno, all’aria aperta, su pezzetti di carta che volavano via. Lei mi aveva assicurato di non mentire, io avevo fatto altrettanto, col risultato che presto ci siamo innamorati davvero sebbene le parole fossero ogni volta andate via col vento. Io però per abitudine avevo inizialmente detto ti amo mentendo e ho vissuto quella relazione nel dubbio che fino a quel momento avevo solo mentito; quando la menzogna è diventata impossibile da rivelare ho preso le mie cose e sono fuggito. Drammaticamente è stato il giorno della grande tempesta. Ho lasciato una lettera per Fernandella ma non so se l’ha mai letta davvero.
Di là avevamo fatto alcuni esperimenti, ci scrivevamo e ci dicevamo ti odio, a turno, all’aria aperta, su pezzetti di carta che volavano via. Lei mi aveva assicurato di mentire, io avevo fatto altrettanto, col risultato che presto ci siamo odiati davvero. Io però in effetti l’amavo, mentre lei a quel punto mi odiava sul serio, e più seriamente io mi innamoravo (pensavo a dei figli da fare con lei) più lei in effetti mi odiava, e io per amarla invano a quel modo ho cominciato poi a detestarla e in seguito a odiarla, così lei mi ha odiato ancora più di prima e io come lei, lei ancora di più e così odio su odio il giorno della grande tempesta ci siamo colpiti a morte. Io mi sono salvato.