PARTITURESofia Ciriello

M.

PARTITURESofia Ciriello
M.

C’era una crepa nel pavimento di legno sotto al tavolo del soggiorno. A dire il vero, c’era sempre stata. Era appena accennata e circa a metà si divideva in due allargandosi a formare un ovale, quasi una mandorla.

Sara l’aveva già guardata. Molte volte. Ma quel giorno era differente: la luce la toccava in modo diverso, come se i bordi della mandorla fossero più sporgenti e persino umidi. Non le piacque per niente. Aveva sempre vissuto in case in cui l’acqua trovava una via per infiltrarsi, far marcire mobili e fiorire la muffa. E quell’odore, poi… No, non voleva ripetere l’esperienza. Si alzò dal divano, scostò le sedie, spostò il tavolo e si chinò sulla strana crepa. Passò un dito sui bordi: asciutti. Quindi toccò il centro della mandorla: era davvero poco più di un lieve avvallamento del legno, un’impronta lasciata da qualcosa su una superficie sensibile.

Tavolo e sedie furono rimessi in ordine.

La crepa, invece, prese posto nella sua mente. Assomigliò sempre di più a un buco verso il quale tutti i pensieri convergevano.

Sara la cercava. Di continuo. Rientrata a casa, andava subito in salotto. Accendeva la luce, guardava verso il tavolo. C’era ancora? Sì. E sembrava ancora bagnata? Sì.

Quindi, il pranzo, la cena, i libri e il pc: tutto si spostò nel soggiorno, sul tavolo che era arretrato un po’ verso il muro per rendere la crepa più facilmente raggiungibile.

La toccava. Le piaceva che il suo dito ormai vi aderisse perfettamente. L’aveva resa più profonda e morbida. I bordi, inspessiti, a volte erano umidi; ma solo appena, niente che potesse impregnare la casa. Di quello, non aveva più paura.

In compenso, aveva scoperto che la mandorla aveva un odore di agrume. Il suo preferito, lo riconobbe: miyagawa, un mandarancio. Per quanto sottile, l’aroma persisteva sulle dita. Non c’era sapone o altra sostanza in grado di mandarlo via. In fondo le piaceva. Anzi, desiderava che coprisse tutti gli altri odori.

Fuori, il quartiere sapeva spesso di troppe cose insieme. C’erano il tanfo dei cassonetti sotto casa, il residuo dolciastro delle foglie cadute a terra, e poi la cucina dei ristoranti e delle case, il caffè bruciato in qualche moka e quello impeccabile dei bar. Le persone indossavano profumi squillanti, oppure profondi fino all’eccesso, tanto cupi da inghiottire persino la luce. Il sole riscaldava le stoffe, non solo i panni stesi, anche i suoi vestiti: dalla sciarpa riemergeva l’odore dell’armadio.

Fu alla fine di una di queste passeggiate che Sara si ritrovò, stordita, a fare la fila alla bottega sotto casa. Le girava un po’ la testa, la nausea le stringeva la stomaco. Si sentiva scomoda fin dentro le ossa. E quel commesso, che le lanciava occhiate mentre sistemava uno scaffale, sembrava poterla vedere fin dove non avrebbe mai osato scoprirsi. La guardava con occhi scuri, infossati. A forma di mandorla. Una goccia di sudore freddo si staccò dall’ascella e colò lungo il fianco. Sara sussultò. Qualcosa si era rappreso dentro di lei.

Le sembrò logico, quella sera, sedersi accanto alla crepa con un mandarancio in mano. Era verde, liscio; la buccia elastica e fine. Con una leggera pressione si riusciva a percepire la rotondità degli spicchi ma, prima di intaccare la scorza con l’unghia, Sara dovette provare più volte. Quando riuscì, tutta la fragranza si sprigionò dal frutto in un fiotto acido, affilato. Per l’intensità, le bruciarono gli occhi, e si sentì riempire di nuovo da quel qualcosa, affiorato dal buco nella sua mente e precipitato verso il basso, tra le gambe, dove formò un piccolo lago.

La mandorla mandò un bagliore, un sorriso umido nella penombra.

Avanti.

Le diceva di continuare e che lei sarebbe rimasta a guardare.

Non le era mai sembrata così viva. Percepiva con gli occhi il mutamento della sua consistenza, ora più simile agli spicchi, tra i quali Sara inserì un dito separandoli delicatamente. Erano teneri, tesi. Sarebbe bastato premere un po’ di più per romperne le pareti, invece era più bello sentirli sudare il succo con lentezza.

Ne staccò uno per portarlo alla bocca. Il sapore si ruppe appena oltre le labbra, talmente più dolce e mite rispetto all’odore del mandarancio da provocarle un brivido tiepido. Gli spicchi erano succulenti, freschi, sodi sulla lingua. La membrana che li rivestiva quasi si scioglieva.

Mangiò tutto il mandarancio senza fretta, con gli occhi fissi sulla crepa. La mandorla si era allargata, i bordi bagnati assomigliavano a labbra rosse che Sara aveva voglia di baciare e succhiare, mescolando i suoi succhi a quello del frutto. Sul fondo, riluceva una pozza.

Finì per accarezzarla, soltanto. Lo fece con attenzione, tremando, perché sembrava talmente fragile e ansiosa, adesso… Il pavimento intorno si era affossato, diventando più molle. Sotto il peso di Sara, mandava deboli gemiti. E i bicchieri, le tazze, le scodelle scricchiolavano nel buio della credenza.

Un vetro si incrinò nella stanza accanto, quando il dito di Sara entrò nella mandorla.

Ne sgorgò qualcosa dall'odore ferroso e pungente. Sara sentì l'umido scendere dal suo corpo, impregnare ciò che era già bagnato. Sangue, piacere.

La membrana della mandorla era rotta. Fu lei a emettere un lungo sospiro.