Ver(ti)gine
Pensare che il sesso possa essere stato un mistero, e che mistero, e per quanto tempo, pensare che quel mistero, quel punto bianco in mezzo a una vita che intanto andava svolgendosi secondo i suoi ritmi naturali per tutto il resto meno che per quello, pensare che quel punto bianco, vorticoso, simile all’occhio di un ciclone, sia realmente esistito come tale, come mistero, adesso, pensarci adesso, è un bello sforzo di immedesimazione, e pure destinato al più clamoroso dei fiaschi, impossibile ritornare vergini, si sa, lo sanno per prime le ragazzine, lo sapevano soprattutto le ragazzine dei tempi miei, quelle nate sul finire degli anni Sessanta e adolescenti sul principio degli anni Ottanta, perché in quel principio di quegli anni Ottanta, nella profonda seppur collinosa provincia mia, la verginità era ancora una specie di medaglia da ostentare senz’altro con genitori, fratelli e sorelle maggiori e parenti tutti, ma in certi malaugurati e neppure tanto rari casi poteva diventare una medaglia da ostentare perfino con le coetanee e i coetanei, una condizione spacciata come normale e irrinunciabile, esito di profonde riflessioni, libera scelta, per carità, segno di grande maturità, di testa sul collo, di andare bene a scuola, sinonimo di appartenenza o, meglio ancora, di non-appartenenza a certi ceti sociali, a certe origini esotiche, da Firenze in giù, che quelle lì sai come sono, ripenso a certe bigottone di campagna, tenute sotto scacco da nonne e madri di un’ignoranza e di una severità abissali, ignoranza e severità frutto di un conformismo pseudo-religioso tanto naturale quanto terroristico, traumatizzate da racconti horror a tema virtù, reputazione e gravidanza indesiderata, certe bigottone che affrontavano il campo di battaglia di quel microscopico mondo che si estendeva dalla loro cameretta alla chiesa alla scuola e poco più, lo affrontavano con brufoli sulla fronte e peli tutti disordinati sudati e schiacciati sotto le ascelle, peli che rimandavano con tutta evidenza ad altri peli di altre parti del corpo, parti del corpo tenute protette innanzitutto dai summenzionati peli, sottoforma di triangoloni voluminosi tanto in ampiezza quanto in spessore, triangoloni equilateri che potevano spesso sbordare verso la coscia e l’ano e l’ombelico, da mutande comprate al mercato del venerdì dalle nonne o dalle mamme, mutande orrende, sformate, bianche, tanto chi te le deve vedere?, ma soprattutto dai racconti horror di cui sopra, e dunque vergini, certo, ci mancherebbe pure, vergini siffatte che si accompagnavano però ad altre vergini, vergini affatto diverse, vergini meravigliose, talmente perfette da superare di slancio ogni ostacolo innalzato dal particolare hic-et-nunc di cui stiamo parlando, vergini altrettanto lesionate dal tossico influsso delle donne di famiglia e della sacrestia sede delle riunioni del sabato pomeriggio, vergini non segnate dal destino inevitabile di una verginità destinata a durare nel tempo, ma pur sempre vergini, vergini maggiorenni o abbondantemente maggiorenni, femmine ma anche maschi, attenzione, vergini vittime di un virtuosistico tuffo dal trampolino del tempo, un tuffo all’indietro, dopo il sesso sempre e comunque di dieci anni prima, eccola la nuova generazione di donne e uomini del futuro marchiato Aids, marchiato sesso protetto, eccoli qua, fisico da donne e uomini in tutto e per tutto, cervello da bambinoni un po’ ritardati e organi sessuali intonsi. Io, come lei, così.