PARTITURESara Verona

Vendo casa

PARTITURESara Verona
Vendo casa

And Honey, this will not be our Christmas tree We won’t walk outside on the Eve

Canticchiava questa canzone melanconica sgrammaticata, che si era inventata mentre tra le mani spezzava piccole foglie di rosmarino, le ricordavano il vischio. Anche lui, secondo lei, cantava, ma indossava un balaclava per nascondere naso, bocca e orecchie: celare i sensi – con gli occhi si nutriva di quelle che erano ormai immagini perse, quel disgustoso sapore di addio già conosciuto – e così mascherato nemmeno poteva fumare. Lei aveva invece un’apparenza più indifferente, la classica calma apparente: aveva paura a guardarlo negli occhi; respingeva un’ultima occhiata. Riusciva solo a guardare oltre le sue spalle, fissando per finta la vetrata della cucina. Puntava all’angolo morbido tra collo, clavicola e spalla e lì stava accasciato lo sguardo, in quell’anatomia dove prima posava la guancia. E gli orecchini che portava disturbavano sempre quel contatto, l’incastro. Cerchi, quelli che portava; cerchi, quelli che lui faceva con le mani nel gesticolare parlando. Ma forse nemmeno era lui, forse era un altro a farli. La faccia. Non si ricordava il volto: non esisteva se non lo ricordava, e forse non lo aveva mai veramente imparato. Anche la voce. La memoria che non aveva mai esercitato su di lui, “non perché non mi piacesse, ma perché così ho meno da dimenticare… sì, cioè, autoprotezione, non so bene come funziona”. Lo diceva a un’amica mentre si strappava la pelle dalle dita a volte troppo grasse, a volte troppo magre. “E poi di sicuro pensa che sono troppo grassa o troppo magra, cioè di sicuro non gli piacciono le mie tette”. In ogni caso quella finta strategia – damnatio memoriae – non aveva funzionato. Lui sta in un labirinto, cerca la via dietro tante siepi tutte uguali, ma allo stesso tempo la calma della routine non lo spaventa. Lei a furia di strapparsi la pelle non ha più le mani e non riesce ad accarezzarsi. E ora chi chiederà a lui se a casa va tutto bene? L’erba è alta ormai, lo so. Quanto tempo ci vuole a superare un lutto? – Quando morì mio nonno forse non me ne accorsi, quando lo seppi non mi venne da piangere. Al funerale però piansi, tra i parenti. Ma l’ho elaborato male. Uguale a quando morì il cane… e ti direi che in realtà sono cose che mi fanno soffrire. A volte credo, inconsciamente proprio, che il cane sia ancora vivo e mi viene da chiedere come sta. E penso che forse siano cose che non ho mai veramente realizzato. A te è capitato? – Oddio, forse sì, ma per altro. Però vabbè ci sta che, se ci si è abituati da sempre a una situazione, poi è più facile mantenerla anche quando questa cambia o non c’è più, no? – Beh sì, se era una situazione che ti faceva stare bene allora sì; ma se non ti faceva né caldo né freddo ci sta che poi resti indifferente., Oddio, mi sto un po’ perdendo. Avrebbero risposto così? Presente Tempo: è l’una di notte di un giorno qualunque. Luogo: ha poca importanza dove si trovino. I punti di riferimento che cadono. Nel mentre non sanno cosa farne delle abitudini che conoscono l'uno dell’altro, delle conversazioni e delle tante domande, della semiotica vicendevolmente appresa. Gli oggetti non li hanno restituiti. Non sanno il perché. Per lei sono esuvie, personalità distribuita; per lui semplici pragmatici oggetti, utensili. Ambigui souvenir che raccontano storie diverse. Ma andiamo sulle proprietà effettive personali: gli orecchini a cerchio parlano di circolarità, non hanno capo né coda e sanno di un abbraccio saldato e, non lo dice, ma li indossa per quello: rassicurazione. Lei ha da poco scoperto delle microespressioni involontarie che fa quando parla o guarda l’altra persona in silenzio, una specie di tic per l’agitazione. E mia madre sempre qui che ripetenon lasciarti andare”. Lui appresso non si porta mai un granché, forse per facilità di gestione del suo patrimonio interiore: non far trapelare nulla dai beni, essere disvincolato. Non voleva espandersi e stava trattenuto. Usa una finta superficialità, ma cammina goffo e appesantito perché è sempre distratto; a strascico si porta dietro mansarde dove stanno ricordi d’infanzia, le trottole di legno, gli amici e le musiche. A volte si impiglia in questo lungo mantello. Lei nominava tizi, gente, amici, maschi a caso per mantenere le distanze. Perché tu non sei – non ti voglio – importante. E ora cosa fanno il sabato sera? Ho la barba lunga come tu la vuoi e ho voglia di morire. E forse ricordare i particolari dell’altro o dell’altra non è importante a questo punto. Perché tanto l’amore non è faccia, non è voce, non sono le scarpe, non è quel corpo, non è l’odore. Non sarà la ricostruzione per vie traverse di un ritratto fatto di contorni, linee descrittive e confini. Abbandono. Non è semplice apparizione esplicita dell’altro. Non ieraticità, ma interazione generale delle cose. La naturalezza di un rapporto. Lo sciogliersi senza ricondensarsi. Sensazione. – Baumann l’hai mai sentito? – No, ma non farmi sentire stupido. – Ehi, no, tranqui, non è fondamentale. Fa una critica alla società, la associa alla perdita delle certezze, all’individuo che applica in vari aspetti della sua vita un’ideologia dell’usa e getta, una sorta di mercificazione della vita, che poi si riscontra anche nei rapporti con le persone. Ma forse l’ho spiegato male. – Mi sa che l’ho già sentito. Brutto però. – Mmm, già. Meglio esserne inconsapevoli, dici di questi meccanismi? – Bella domanda. Magari proprio inconsapevoli no, ma non lasciarsi travolgere da così tanti discorsi. Però alla fine è una questione generale: non lasciarsi mai travolgere troppo dalle cose, evitare gli estremi, via.

Avrebbero detto così?

Lui voleva, ma i fiori non glieli aveva mai portati e a raccontarsi non è stato troppo bravo. Sintetico, ma adatto. E tutto sembrava più facile, tanto che lei parlava parlava parlava e non aveva paura di farsi conoscere, ma era come se raccontasse storie, montaggi con paroloni. La differenza si notava. Autoprotezione. Ma di strano cosa c’è? Questa casa ha visto amore. Non hanno più fame ora. Si irritano quando sentono l’altro, quando lo riconoscono in odori, espressioni, modi di fare della gente in generale. Odiano la famiglia, l’appiccicoso. Un panino, una birra, e poi. Sono sintetici in una calma bestiale. Mi manca il tuo sguardo su di me. I suoni e la luce danno noia. È faticoso parlare. Se mi guardi, mi stai giudicando. Nonono non sederti lì. Potrei piangere. Stasera va bene, guido io. Andiamo a ballare? C’era una, boh, era carina? E io tanto poi parto. È importante? Ci scopo? La tua bocca da baciare Ho paura dei cambiamenti Oggi vede un uomo che muore Non mi fate domande e la fiamma si alza ancora dentro me Questa casa è tutta da bruciare Questa casa è tutta da bruciare.