Unire i punti per ottenere

Unire i punti per ottenere

ZERO. Questo che ho in mano non è un cocktail. Nel mio bicchiere c’è un intruglio liquido senza nome, dall’odore pungente e confuso ma certamente utile allo scopo. Non è il meglio, questo in qualche modo lo so bene, ma è quello che c’è e quello ci vuole. Basta.
Il primo sorso gratta la gola, raspa nel petto. Il secondo chiarisce che è una buona cosa. Mi sento subito meglio. Bevo e mi piace anche se non dovrebbe piacermi. E con ormai sufficiente certezza del suo sapore, butto giù tutto di colpo per farmi passare il singhiozzo.
Intanto si stura il lavandino vomitando metallo in frantumi.
Perché?
Guardo ciò che è risalito dal nulla: Sono viti, sono pezzi di cose rotte, sono… ombre che spariscono così come le ho viste, in un solo istante. Mi resta il dubbio: c’erano? Significavano qualcosa di importante, lo sento, ma non capisco.
Non leggo i fondi di niente, non sono capace. Vorrei però leggere il fondo del lavandino, ma ora è vuoto. Come il mio bicchiere.

Uno. Ieri ho fatto tardi e ho pianto molto. Le due cose erano legate? Ero nel panico o almeno parecchio spaventata ma non ricordo perché. E neanche credo che fosse davvero ieri, ma ieri sta diventando un’unità di misura possibile e insieme una valida e utile approssimazione temporale per chiarirsi al proposito di un prima e un dopo.
Intanto so che ero fuori. Questo è certo.
So che c’era gente, dove mi trovavo, e che tutto era come il gorgo dell’acqua del lavandino prima che sparisse altrove. C’era quello strano suono che fanno le voci quando sono tutte insieme e vibrano grigio e poi c’era la musica, quella casuale e che non si ricorda mai o non ti piace ma intanto sta lì e poi diventa invisibile. Era… Un bar, sì. Lì, ho perso il mio telefono e ora che l’ho ricordato dovrei fare qualcosa, dovrebbe essere una cosa importante da riavere indietro. Ma sono certa che sia perso? L’ultima volta che l’ho tenuto in mano, e ricordo il suo peso sul palmo, è stato in quel posto. Penso che sia stato rubato da quel simpatico ragazzo che parlava allegramente di come sua nonna faceva certi biscotti all’anice e di quanto lo preoccupassero i pranzi senza fine ogni volta che si ritrovavano tra parenti a Natale. Credo fosse greco e neanche gli piaceva molto passare il Natale in famiglia. Dopo avermi stropicciato un po’, come le salviette tra i salatini e gli antipasti freddi, mi ha detto che doveva chiamare qualcuno e quindi mi ha chiesto se potevo usare il mio telefono perché il suo aveva la batteria scarica. Io gli ho detto qualcosa di simile a macertoholechiamategratisfaipure mentre inghiottivo il mio cocktail. Lui ha preso il telefono e poi… è scappato. Credo.

Due. Non mi piace la carta da parati di questa stanza in una città che tutti vogliono vedere, sebbene sarebbe il caso di tapparsi gli occhi di fronte a questo disastro. Londra, alla periferia, è brutta come qualunque altro posto brutto. Le case sembrano cartoni alti con coperchi accuratamente chiusi perché non esca il contenuto a pezzi. Fragile. O infiammabile. Dovrebbero scriverlo ovunque.
Potessi uscire, scriverei di tutto sui muri di questi posti, e disegnerei anche le istruzioni per l’uso di porte e finestre. Credo che la gente stia iniziando a dimenticare come si usano.
Puoi uscire da tutte e due, se ti pare. Dipende solo come e in che senso.
A tal proposito ci sono tanti lanci dalle finestre del bagno, chissà come mai.
Se dovessi farlo, di lanciarmi, io sceglierei di farlo dal salone, Lena invece preferirebbe lo studio. Io le ho detto che non in tutte le case c’è lo studio, ma c’è quasi sempre il salone. Marco ha detto che uscirebbe sempre e solo dalla cucina, ma qui non tutte le cucine hanno la finestra. Neanche i bagni però.
Moltostranaconsiderazione, sì.
Dovessi buttarmi credo che lo farei meglio di altri, magari come mi tuffo. Poi penso che non vado a nuotare da almeno quindici anni e forse non lo so più fare. Intendo dire che forse non ho più la forza, la voglia di stare a galla. Certo, se ti butti non vuoi restare dove sei. Quindici anni fa non consideravo queste cose.
Poi mi viene detto che non ho quindici anni e questo è molto sbagliato. Molto. Ma hanno ragione, lo vedo specchiandomi. Ma se hanno ragione ce l’ho anch’io dicendo che certe cose prima non le consideravo, visto che non esistevo. Però qualcosa non torna o forse… se n’è andata.

Tre. Colla. Sto cercando di fare riparazioni mentre tutti rompono altre cose che poi dovrò riparare a mio modo. Sono sempre ubriachi, piangono in continuazione. Io bevo ma non sono ubriaca mai e mi sento bene. Non dovrei, è innaturale. Ma questa è una situazione particolare. L’alcool mi chiude la pancia, almeno un po’. Serve a calmare la fame. Una volta si beveva dopo il lavoro e in certe code di settimane che erano dure da scorticare, ora invece si beve e non si lavora. Chenepuoisapere?, dicono gli altri. E aggiungono che io avrei circa tredici anni. Circa è una parola magica per aggiustare tante cose, proprio come la colla. E l’età è un numero magari sbagliato, come quello che ha provato a fare il ragazzo greco. Ho ricordato di colpo che cercò di chiamare qualcuno davanti a me ma il numero era inesistente. Chissà perché pensavo che fosse scappato.
Cioè… deve averlo fatto dopo. Ora io sono senza telefono e neanche mi importa, ma deve averlo lui. Mi importa di più che non ci sia da mangiare o almeno niente che riesca a placare il mio appetito. Non davvero.
In questi ultimi giorni ho ancora più fame, la mia saliva è diventata densa e vischiosa. Dovrei pure spiegarmelo in qualche modo, ma mi sento come se non fosse importante.
Penso pure che dovrei fare un test di gravidanza, perché la mia pancia è strana. Non sono incinta, lo so benissimo. Ma giorni fa non avevo tredici anni. Se sono incinta, come è successo, prima?
Eva mi ha chiesto se per caso potrebbe essere stato il cane. Ora sto cercando di incollare qualcosa che le ho rotto, dopo che l’ha detto. Ma ci sono pure dei denti sul tappeto e per quelli non so che fare. Tutti urlano nelle stanze accanto, ma forse è il caso che qualcuno venga a dare un’occhiata alla cosa che è successa. Credo che urleranno lo stesso ma intanto Eva non è più Eva e mi sembra sempre più simile a un pezzo di sapone bianco.

Quattro. La spazzatura è piena e due stanze sono piene di spazzatura. Eva ha iniziato a puzzare e non si alza più. Si è pure fatta sempre più brutta, direi pure orribile, quando le labbra le si sono ritirate. Nel giardino le foglie sono tutte sugli angoli delle portefinestre, spinte da un vento che quasi riesce a essere verticale. Non ci sono alberi attorno, mi chiedo da dove vengano. Penso che non sia autunno già da un pezzo, ma non guardo il calendario perché temo che Natale possa essere vicino. Il pensiero di grandi pranzi e cene con la mia famiglia mi fa paura e rabbia insieme. Ma non so perché.
Qui, niente cibo passabile, ma c’è ancora tanto alcool in questa casa e penso che possiamo farci male e poi disinfettare. Le case vicine sono sempre più silenziose e la nostra invece continua a urlare.
Penso al telefono. Penso che dovrei chiamare qualcuno. Poi ricordo che l’ho perso e ripenso al ragazzo greco, di nuovo. Forse è stato più gentile di quello che ricordassi. Forse ha preso la mia mano sul bancone e l’ha accarezzata. Lo conoscevo…? Forse più che bene.
Orian era strano da giorni e a un certo punto mi ha portato dentro la sua stanza. C’era odore di menta, veniva da una bottiglia di shampoo aperta, e ho pensato per un momento all’insalata estiva di melanzana che faceva mia nonna e che serviva con gli spiedini di carne. Mi manca l’estate ma il pensiero di quel cibo mi fa vomitare. Orian piangeva quando si è tolto i pantaloni e poi il resto.
Gli ho chiesto che voleva. Ha detto che doveva buttare delle cose dentro qualcosa.
Forse la pancia mi cresce per questo.

Cinque. Scoppi. Ci sono di notte e di giorno. I ragni che abbiamo in casa sono sempre più grossi e sempre più neri e forse alla fine saranno grandi come i sacchi nelle stanze. Ci sono cose che puzzavano, nei sacchi.
Ho fame. Ho provato a bere dell’acqua e sono stata malissimo, pensavo di morire.
Il mio istinto dice che devo bere solo altro ma vorrei mangiare. Mangiare. Un tizio, che abitava vicino, è andato via in questi giorni e ha lasciato la casa aperta. Siamo entrati e trovato tanto disordine, quello di chi sa già che non tornerà mai più e abbiamo visto anche tante cose belle ormai rotte e maltrattate. Ho sentito di nuovo un grande senso di colpa, quello che ho sentito con Eva. Nella casa del vicino c’erano però anche delle bottiglie avanzate, che abbiamo sommato alle nostre.
Nel giardino della nostra casa c’è un cimitero di vetri e sotto i vetri Eva, che ormai non c’è quasi più.
Quanto tempo è passato?
Io ho sempre più fame e nessuno ha niente da darmi anche se lo chiedo supplicando. Penso che morderò Orian, appena verrà più vicino. Se lo merita.
La TV trasmetteva continuamente in questi giorni, ma ora è un grigio fruscio fisso e a parte le nostre voci c’è silenzio nel quartiere. Quando ero bambina la televisione smetteva di trasmettere dopo una certa ora e diventava spaventosa perché faceva uno strano suono e solo quello.
Mi dicono che è una balla, che è una cosa che non posso sapere perché succedeva molto tempo fa ed io ho circatredicianniopocopiù. Dicono. Ma io so che non parlo di sogni o pensieri e ho visto ciò che dico di aver visto. Solo che inizio a pensare che forse non ero io.

Sei. Voglio andare per strada da sola e guardarmi in giro. Se passa qualcuno, voglio farmi vedere e poi chiedere da mangiare, io ho fame. Qui mi dicono vaffanculononpuoiandare e poi escono loro e non tornano. Non stanno tornando mai. Perché allora io non posso uscire, vogliono lasciarmi per ultima? Setivedonopotrebberofartidelmale dicono. Ma loro non mi fanno del bene.
Penso che tutti stiano cominciando ad avere paura di me. Credo che non abbiano dimenticato Eva. Credo che mordere Orian non sia stata una buona idea. Ma io sono una bambina, sono loro ad essere pericolosi per me! Per esempio, ora nessuno mi vuole curare. E mentre notavo che un’erba dallo stelo lungo sta spuntando da dove c’erano gli occhi di Eva, mi sono accorta di vedere e sentire in modo diverso da prima. I denti di Eva, che ho in tasca, fanno un odore di latte acido che non c’è. Mi diceva il cane che ho cambiato odore e ho gli occhi più grandi e scuri di prima. Forse questo mio disturbo è dovuto alla troppa luce e in effetti sembra che il buio sia scappato via anche dalla notte, e come hanno fatto le persone che avevamo attorno e alcuni che erano in casa con me.
La luce è pure sotto ogni cosa dove prima c’era l’ombra. La bocca del cane era luminosa mentre parlava e pure la mia brilla, se la apro davanti allo specchio. Mi chiedo se è così anche quando non vede nessuno. Non farebbe la stessa figura. E dal cielo si sentono fischi acuti e poi rumori sordi e tutto trema. Disinfettante sulle case, sulla nostra. Credo lo sia. Io continuo a bere e ho smesso di ricordare qualcosa che non mi viene più in mente. Ma forse non era così importante.

Sette. Dagli occhi di Eva fioriscono fiori blu e piacciono soltanto a me. Alcuni di quelli rimasti in casa non apprezzano la bellezza.
Ho cercato di chiedere agli altri se ricordavano qualcosa di più preciso su cosa sta succedendo ma loro quasi non mi parlano. Non possono continuare così. Eva dice, da sotto il cumulo di bottiglie, che due anni fa è successo qualcosa di grave e aveva a che fare con un disastro ecologico ma non solo. Qualcuno diceva altro, su qualcosa di più strano, arrivato chissà da dove.
Nelle settimane dopo i primi comunicati non ci sono state scene di disperazione o resistenza (a cosa?) ma la gente è scivolava via da case e strade come fa la sabbia della clessidra, silenziosamente, e nessuno ci ha detto che “non c’era più tempo” perché forse quello c’è, ma il problema è che avanza in una nuova direzione.
Misentomalemamisentobenissimo. È qualcosa che non riesco ad esprimere con maggiore precisione. Neanche so come siamo finiti qui dentro. Ci hanno portati qui o ci siamo arrivati?
Se qualcuno era con noi, non c’è più e alla fine ci ha fatto la guardia solo il cane, che poi ha smesso di farla e ha iniziato a parlare. Come ha iniziato a farlo pure Eva. Ho ricordato che per qualche motivo sono stata nascosta. So che alcuni di loro mi hanno raccolta da dove ero caduta e che mi proteggevano, noinonabbiamopauradite lo ripetevano sempre, ma ora vedo che hanno cambiato idea e che come altri vorrebbero scappare, anche se non riescono a farlo. Io non voglio che lo facciano e non lo faranno.
La mia pancia è sempre più grande e sempre più luminosa. Una grande lampada. Loro ne sono attratti, sempre di più. Ma tremano, piangono, alcuni urlano.
Qualcosa mi è ritornata in mente.
C’era quel bar, quel ragazzo greco che parlava dei biscotti, quello scossone che ha rotto piatti, bicchieri e anche la testa di quel ragazzo… sì, ora lo ricordo. A pensarci bene, quello scossone ha rotto in pezzi anche una donna che era con lui e gli aveva prestato il telefono. Ma io… sono perfettamente intera. Intatta. Come nuova. Però vorrei indietro il telefono.
Non posso chiamare nessuno, non posso chiamare i miei. Mi stanno cercando e lo so, lo sento.
Sono nascosta tra estranei.
Io posso solo bere e aspettare. Ma ho fame. Tutti quelli che restano stanno cambiando anche se non vorrebbero. Ho perso quelli che c’erano prima e sto creando la mia famiglia, pezzo dopo pezzo. Sento che ci vorremo bene davvero. Non c’è cibo però e tra qualche tempo anche loro non riusciranno a mangiare più niente. Resta però da bere e più bevo più sono luminosa.
Penso che chi mi ha portata qui abbia fatto un grosso errore.
Gli umani non mi piacciono. Me lo dice il cervello, con una sua nuova voce.
Nonmipiaccionoaffatto. E hanno anche un cattivo sapore.