La mia stanza
Quando in prima media la professoressa d’italiano come compito in classe ci chiese di descrivere la nostra cameretta, per poco non svenni. Non aveva nemmeno finito di pronunciare l’ultima parola che ero già completamente sudato. Non che fosse un compito chissà quanto difficile descrivere una cameretta. Anzi, di solito le tracce che ci dava erano molto più complesse. Il problema era un altro: io non avevo una cameretta. Avevo un letto, vero, e questo letto era posizionato in una camera, vero anche questo. Però non era la mia stanza, bensì quella di papà. Purtroppo da quando mamma era stata male io e mio fratello ci eravamo trasferiti da nonna, insieme a papà, che non aveva soldi e non poteva permettersi di trasferirsi in un’altra casa con una camera tutta per noi. Mio fratello dormiva con mia nonna, nel suo legnoso lettone antiquato, e io con papà nella stanza accanto. Anche noi in un letto matrimoniale.
Mi vergognavo troppo per dire la verità, soprattutto di fronte ai miei compagni, e così decisi di inventarmi tutto, mi improvvisai architetto e arredatore e descrissi minuziosamente una stanza che avrebbe fatto invidia perfino al bambino più felice della Terra.
Larghe pareti ricoperte da quadri raffiguranti i personaggi dei cartoni più in voga del momento e calciatori famosi, una finestra mastodontica dalla quale si potevano ammirare le montagne innevate, un armadio che occupava una parete intera, un letto matrimoniale ricoperto da cuscini e peluche colorati, una televisione al plasma - che allora era un vero lusso - tutta per me e una Nintendo 64. Ma il tocco che mi rese più orgoglioso furono un mappamondo enorme al centro della stanza e soprattutto un distributore di caramelle gommose accanto al letto, uno di quelli belli grossi e colorati che si trovano fuori dalle gelaterie.
La professoressa lesse il tema e mi diede un bel sette e mezzo. Quando mi consegnò il compito corretto mi sorrise e si complimentò per la mia bella camera e -ma questo me lo disse all’orecchio-per la fantasia. Avrei voluto dirle anche io qualcosa, ad esempio di quanto fosse stata stronza a darci un tema del genere, anche perché allora non sapevo che Samuel condividesse il letto con altri due fratelli, che tutti i vestiti di Chiara prima erano stati delle cugine più grandi e che alla mamma di Hakim mancassero tutti i denti perché non poteva permettersi di andare dal dentista. Insomma, non ero l’unico a cui il conto in banca e la vita non sorridevano, ma non lo potevo sapere. Soprattutto perché non ero stato l’unico a inventarsi di sana pianta la propria camera da letto. Samuel, ad esempio, scrisse di avere una piscina tutta per sé, con tanto di scivolo che partiva dal letto. E io che pensavo di aver esagerato con quel distributore di caramelle…