Galleggiamento – 2
Dimentico servile ogni sponda labile e ricordo invece di vomitare fuori la ribellione sacrosanta alle stelle invereconde e inabili alla vista. Posso scommettere cento volte e perdere trentasei che non vivrò a sufficienza, dove sarebbe utile semplicemente vedere stampato questo poemetto in orizzontale che non ha altra funzione se non quella di leggere una riga al giorno per cinquantadue strofe di sette versi e rendersi conto che i giorni dell’anno sono trecentosessantaquattro e al netto di qualche festa c’è un giorno di giogo che abbonda. Odio è cifra e servilismo represso di consapevole soma impedita ad alzare il gozzo verso il cielo stellato, sette cimiteriali scovano denti dorati e ne rivendono il valore mortifero ad altrettanti tombaroli sospiranti.
Non citerò la donna più presente nella letteratura contemporanea di qualità per il semplice motivo che è il motore stesso di questi versi, l’ho cercata per un mélange emotivo ma era isolata a scrivere e s’è rifiutata, perché lei è guerriera pura e vera e si spende e si sfrutta e si stravolge e non vedo perciò perché dovrei aspettarmi buoni consigli e saggezza e anelito alla preservazione quando tutto ciò che resterà di noi saranno parole di consunzione. Non c’è ossimoro che definisca noi bestie da tastiera, siamo fieri e fiere. Ora bevo sugli psicofarmaci col rimpianto di non poter mangiare del peyote. Vivo per la visione e la produco scalza e scarna e con le palme piagate dal delitto. Nessuno ha mai compiuto un miracolo più grande del migrare per amore di una donna e ritrovarsi solo.
Il cigolio delle grate del cimitero fracassa il silenzio della tequila consumata prima durante e dopo l’accesso all’aperto luogo di semina. Piscio per sbaglio su una sepoltura e la falena sulla bottiglia accompagna il senso di malasorte perenne che in effetti poi mi accompagnerà per il resto dell’esistenza. Si caga in bocca ai morti, ma mai pisciare sui loro sepolcri. Quale merito schiacciare una fetta di limone e ungere sale e saliva per alterare i sensi in ordine al naturale finale corso delle cose finite. Dei corpi freddi e marci e magari masticati dai vermi. Scrivo l’urgenza di terminare questo frenetico giro di giostra prima che mi raggiunga l’arresto finale: non osceno ma fisiologico. Non voglio morire in nessun caso ma se anche un giovane ubriaco mi pisciasse sopra mi godrei il caldo. Addobbo la chiesa per la sposa morta, non c’è donna o bambina che potrebbe mai trovarmi attraente. Sono stato buggerato molti istanti di scoppio e frattaglie mentre altri galli biforcuti scacciavano paure ataviche di rappresaglie mistiche. Nessuno piegò il ginocchio in fronte a Re o Regina che fosse, se libertà trombava mesta il richiamo alla selva e alla ribellione. Mitopoiesi del montante al mento nel palazzetto mentre una folla sbigottita dichiarava rinuncia alla servitù, l’istante esatto che precedeva il formicaio operoso e strepitante, fisico ma a un tempo truce e fradicio. Ella ha complimentato lo scritto in essere con la più grande fra le apparizioni e non osiamo ripetere l’immane senso di giubilo che la pietà umana può deputare a lenire il dolore d’uno intento a scrivere.
Galleggio come una farfalla e pungo come un’ape in istanti privati dal fato d’impegni professionali sobri, troppo sobri, senza poter caricare di Pills la mente sovraccarica delle telefonate moleste d’ogni uffizio. Stamane ho scritto a tutti la gioia d’aver ripreso e ho ordinato la birra, persino Federica ha voluto darmi appuntamento in un luogo mondano che non so se raggiungere o disertare ubriaco alla tastiera, mancano ventiquattro strofe e nessuno avrà il coraggio di infastidirsi per questo mio superare la metà e sentire prossima la meta, anche perché mirabilia attendono questo lavoro e quando scrivo mirabilia, da sempre non riesco a dimenticare le prigioni e i manicomi del Marginalia LXXXIII di Edgar Allan Poe. Corvo e teoria della composizione.
Odio lavorare in ufficio che mi metta a disposizione uno strumento di scrittura attraverso il quale compitare storie sciape e prive di brivido, mentre un ossario munito della falange sporca del mio sangue sarebbe più indicata a macchiare il privato cittadino pudico della mia brama del sangue mestruale di lei strega. Potremmo dominare il mondo solo splendendo nell’oscurità in fluorescenze e riverberi felini, comodi come ansimi e grattini dominati dal vuoto sussiegoso d’alcuna emotiva cialtrona luna. Sebbene lei la sia, Luna. Non mi definisco, perché opto per il finirmi senza appello e senza essere appellato, ma ho sete del di lei sudore e bisogno di morderle le carni, saremo mai così prossimi da percepire i nostri odori? Il mio olfatto danneggiato dal fumo sa a memoria che sono stantio.
Giorgia, Elena, Marina e Ilaria compaiono sempre in questi versi vomitati che dal proposito d’esser sobri finiscono sempre per inebriarsi di birra e nicotina, ma non importa, dovrei o potrei essere meno repellente solo per Ilaria e S., una vecchia nuova entrata dal portone delle elementari. Ricordo una sera trascorsa al tavolino del bar di un principato dove la birra era schifosamente cara e lei danzava vestita di piume, fra sensualità e ironia. Ricordo un quaderno pieno di appunti di visione sparito chissà dove con tutte le sue poesie a S., da batterci il Leopardi. Oggi ho esperito violenza fisica e so per certo che non voglio difendermi. Ho un congiunto convinto di doversi vergognare di me solo perché brillo, ma non ubriaco… perché brillo, come una stella, di luce mia. Donne sanno.
Fra poco sorbirò un caffè vietato come vietata è la birra con un amico col quale parlo spesso di giochi proibiti come azzardo e prostituzione. Ma non importa quanto puro sia il tuo animo se in funzione della corruzione del paese ti trovi costretto a vomitare bile e rinunciare alle carezze e ai sorrisi. Stasera vedrò Federica se troverò il coraggio di lavarmi, vestirmi in modo decente e approssimarmi al centro della movida. Quando vado in quel bar lì sto dall’altra parte dell’ignoranza ottusa, a pensare ai gelati sciolti del Galloni, a evitare interazioni stufe e lesse. Oggi ho finalmente trovato la colonna sonora di Galleggiamento, come sempre l’ho impostata come trillo del telefono e l’ascolto a ripetizione. Si tratta di Transmission dei Joy Division, inefficace il lungo intro di basso. Quando suona il telefono non riesco ad arrivare al pathos del pezzo, per paura che quei pochi che chiamano attacchino. Ma non posso farci nulla, davvero, sono pessimo, la peggiore creatura mai esistita, un goblin, so essere un goblin. Mi ama solo mio nipote perché tutti i fanciulli sono pazzi in attesa della pioggia estiva. Per scelta anticoloniale non cito in inglese, ma chi si fosse persa quella, ha buttato il tempo e i soldi per leggere questo mio capolavoro. Ormai non c’entra cosa scriverò, sono stato definito le nouveau Antonin Artaud, una truffatrice giura che lo metterà nero su bianco. Sinceramente se trovassi il modo di lavorare poco e scrivere tanto mi butterei a Roma a vedere se almeno lì sia possibile invecchiare, perché qui non c’è traccia di ruga o prostatite.
Rispetto chi si è drogato, però a me chiedevano le ghiandole da ingollare prima dopo e durante i concerti. Ormai mi do saltuariamente all’alcol per non dimenticare che navigare, per scrivere, è meglio che camminare. Dove siete piedi scalzi e martoriati del venefico attentato alla specie? So che non fabbrichiamo i bambini sia per evitargli le nostre sofferenze, che le loro, so che dimentichiamo di procreare per non dimenticare di nutrire. A me piaceva il sesso, tanto, ora sono disinteressato e penso all’amore ma preferisco scrivere. Se lei s’innamorasse di me cambierebbe tutto, ma le ho appena chiesto se abbia cominciato e ha negato. Magari Federica è davvero abbastanza sballata da starmi vicino, una donna mi incasinerebbe il giusto, ci proverei senz’altro gusto.
Nonostante le fantasmagorie toscane si sommino a lacune cerebrali lunari e celestiali e altre, io proprio non riesco a biasimarmi. Dovrei sentirmi inferiore in virtù di nitide visioni altre da quelle diffuse? Quello che i medici chiamano anomalia, se la è davvero è un miraggio. Il me pazzo è da invidiare. Ma non voglio suscitare quel genere di spintone generato dalla lunga giacenza in un limbo di mediocrità. Voglio solo condividere la mia luce con chi ne ha di disturbata ma comunque ne ha. Interroga un poeta o una poetessa sulla vita o sulla morte e mai farà scena muta, potrà allegorizzare o allitterare un tantino di più in funzione dell’ispirazione, ma resterà comunque un pazzo o un ciarlatano. I poeti che conosco io sono quasi tutti pazzi tranne uno.
Se avessi avuto una chitarra in mano fin da bambino ora vivrei con le orecchie. Non è un rimpianto: mi hanno abbuffato di parole e dicono che io sia un poeta. Mi sta bene, secondo vecchie tabelle drammaturghi e poeti sono i più avvezzi al suicidio, ma io non mi ammazzo manco per il cazzo. Se solo immaginaste quante cose strane accadono a un poeta fosse anche relegato in una becera provincia dove capita di fidanzarsi con le prostitute. Non ho paura del giudizio particolare né di quello Universale. Attaccato a questi tasti sono il menestrello e il cantore, il vivo e il guitto, il giullare. Istrione sempre come autolesionista fautore di vita che sto ripetendo all’infinito come spergiurando che duri. Ora viene quella parte noiosa in cui vi racconto che sto scrivendo ubriaco.
Il poeta James Douglas Morrison, uno dei più grandi del secolo scorso, pare fosse sempre ubriaco di whisky ma lasciò detto che la purezza delle sue liriche venisse dall’hangover mattutino. Ha fottuto solo me fino a questo istante, perché egli cantò When I walk up this morning I got my self a beer. Il mio amico Dario e io con un solo sguardo, al risveglio in Granada, optammo per una colazione psichedelica a base di whisky, che si concluse col profitto netto di venti centesimi racimolati in virtù della più nota Battisti-Mogol di sempre. Granada sotto effetto di whisky dalla mattina alla sera fu un’esperienza servile per gli angeli, un ricordo nitido dello sfuocato panorama dell’Albayzìn, gemelle scambiate per donne non sorelle e abbracciate godendo. Godere è la più sublime delle arti ed è molto meglio, sempre meglio, avere a disposizione capezzoli o zone altrettanto o più erogene. Il pudore è la feccia cristiana crivellata nei crani dal catechismo e odio e disprezzo ogni sacerdote per la propria repressione e falsità. Nei primi tempi in cui vivevo nella tana attuale c’era questo folle di un prete che bruciò Ratzinger in effige e mi fu spedito qui con le sue scampanate poco virili e tollerabili. Non ricordo quante rime gli regalai, ma smise di cantare sia lode a Gesù Cristo! al mio ennesimo ma quando cazzo mai s’è visto!. Rispondere in rima a un prete mistico e rubizzo ottiene risultati e per lo meno posso tenere il mio antro di mago al di là delle mefitiche benedizioni cristiane. Solo con le rime. Sto per innamorarmi.
[…continua]