Amore
Ti amo. Ti desidero come l’aria che respiro, come l’acqua che mi disseta, come il cibo che mi sostiene. Basta, smettetela, mi viene da urlare quando sento le parole smielate che provengono dall’ombrellone davanti al mio. Due giovani che se ne stanno abbracciati al sole, fuori dall’ombra dell’ombrellone, distesi sugli asciugamani. È lui che si è lanciato in questa poetica dichiarazione, tanto iperbolica da risultare risibile e fastidiosa. La ragazza tuttavia sembra apprezzare, si gode le attenzioni del poeta, crede alle sue parole, si gode la melassa. Vorrei evitare, ma sono curioso di capire come sono due che si scambiano frasi di tale fatta. Li osservo di sottecchi. Lui avrà venti, ventidue anni; lei è più giovane, diciassette, diciotto. Lui deve essere un poeta precoce o un bambinone, lei una ragazzina romanticona o Biancaneve. Oppure sono falsi, entrambi, recitano un melodramma, interpretano una parte, giocano la parodia dell’innocenza. Sarò cinico, ma propendo per quest’ultima ipotesi, che seppur li etichetterebbe come giocolieri li salverebbe in quanto a dignità. Mia moglie prende il sole accanto a me, o meglio, lei prende il sole sul lettino, mentre io mi godo l’ombra dell’ombrellone sulla sdraio. Meglio il sole o l’ombra? Meglio l’ombra. Il sole è per quelli che sono nati al mare, gli sci per quelli che sono nati in alta montagna. Io sono nato intorno ai settecento metri, quelli come me non stravedono né per il mare né per l’alta montagna, non sanno né nuotare né sciare, si godono l’ombra ai lati della piazza. Confidare a mia moglie i miei pensieri riguardo ai due ragazzi? Non capirebbe. Direbbe che dovrei prendere esempio da loro, che sanno dirsi cose così dolci e romantiche. Direbbe che sono un cinico inaridito dagli anni. Direbbe che dovrei prendere esempio da loro e trovare parole simili da rivolgere a lei. Concluderebbe che se fossi stato allora così come sono oggi non sarei mai riuscito a conquistarla. Meglio evitare confidenze, riflettere da solo, rimuginare tra me. Ti amo. Amore, che parola pesante. Amo te, proprio te, non un’altra persona. Ma da quanto tempo conosci questa ragazzina, caro poeta, cosa hai condiviso con lei, quale percorso avete fatto insieme, in cosa siete stati complici, quale faticosa quotidianità avete sofferto congiuntamente, quali gioie e quali dolori? Facile dire ti amo. In fondo non costa niente. Si fa un figurone, si consolida la conquista. Ti ho detto che ti amo, che altro ti serve? Devo strisciare ai tuoi piedi, coprirti d’oro, giurarti fedeltà eterna? Ma come cazzo si fa a giurare di condividere la fatica della vita a vent’anni? Quando la vita non la si conosce affatto, quando non si sa cosa si farà non dico a venticinque anni, né a ventitré, né a ventuno, ma neanche a vent’anni e sei mesi, nemmeno a vent’anni e tre mesi, nemmeno alla fine dell’estate. Dovrebbe essere vietato per legge, dovrebbe essere equiparato alla circonvenzione di incapace, alla truffa, al raggiro. E quanto sei sicuro poi di garantire solo a lei il tuo indefinibile amore, a lei e non a un’altra, magari una che domattina ti fa le moine, ti racconta che ti trova fico, si è invaghita di te, si è resa conto che ti ama? Ci credo poi che la desideri, la ragazzina, avrai gli ormoni a mille. Lei è bella, un fisichetto da pin-up, tutte le curve al posto giusto, dolce come un gelato, ti trova bello e attraente, anche lei ti desidera. Sarò stronzo, antico, misogino, illiberale e maschilista, ma se fossi il papà della ragazza me la porterei via, la metterei sotto una campana di vetro e la proteggerei a costo della vita, anche contro la sua volontà, me la terrei stretta fino a cent’anni e oltre, la terrei lontana dalle promesse d’amore senza garanzia. Quanto desideri l’aria che respiri, stronzetto? Non ci sapresti stare senz’aria, vero? Neanche senz’acqua, neanche senza cibo, ovvio, anche se potresti resistere progressivamente sempre di più. Ma davvero la ragazzina ti mancherebbe allo stesso modo? Restiamo seri allora, dille che vuoi fare sesso con lei, volete fare sesso insieme, è la natura, è Darwin, è l’atavica darwiniana corsa alla realizzazione della propria fitness, alla perpetuazione della propria specie, anche se in quel momento topico in generale a tutto si pensa tranne che alla propria fitness, magari se per errore si arriva alla procreazione, non avendo avuto accortezza alcuna, ci si arrangia, c’è la pillola del giorno dopo, ci sono i genitori. Mi devo alzare dalla sdraio, allontanarmi, per non dover più sentire la falsa recita dell’amore eterno a diciotto e vent’anni. Io, sprezzante e scettico, vado a bere una bibita fresca. Certo che amo mia moglie, ci desideriamo ancora. Come potrebbe essere diversamente? Ci siamo piaciuti, abbiamo condiviso alti e bassi, qualche litigata, abbiamo fatto sesso e ci siamo scambiati tenerezze, progettato ed eseguito insieme, siamo stati lontani e vicini, abbiamo dormito insieme e vegliato insieme, abbiamo gioito per l’arrivo delle figlie, passato notti svegli a causa del loro pianto, le abbiamo accompagnate in palestra e in chiesa, a passeggio e a scuola, abbiamo e continuiamo ad aspettare insonni il loro ritorno a casa. Ero anch’io, da giovane, così ingenuamente cascamorto , idiota e furbo allo stesso tempo? Spero di no, sono sicuro di no. A vent’anni non ero neanche tanto audace e scaltro. Sono gli scaltri e gli audaci a fingersi sdolcinati agnelli di fronte alle ingenue e duri di fronte alle scaltre. Ma così sarebbe stato semplice sgamarli, perciò la natura darwiniana ha inquinato le acque, ha indotto a loro volta le scaltre a fingersi tenere pecorelle per conquistare gli ingenui e le audaci pecorelle a forzarsi ad essere scaltre al quadrato per conquistare gli scaltri. Torno lentamente alla mia sdraio, rassegnato alle astuzie della selezione naturale, alle mille risorse delle specie, degli uomini e delle donne, delle femmine e dei maschi. Ecco, hai fatto scappare quei due ragazzi, ficcanaso e cinico come sei. È con queste parole che mi accoglie mia moglie.