Il giorno del tuo compleanno
Ti si sono incendiati i capelli, il fuoco sembrava la coda di un cervello artificiale che ti possedeva, settava il tuo mondo, scheletriva il poster alla parete, faceva di più del tuo parrucchiere, Ignazio, che ti pregava di non dire a nessuno che i capelli li sistemavi da lui. Hai fatto vergognare Ignazio della sua passione, tu lottavi per quella ciocca rossa dietro la nuca, ti pungeva il culo per quanto era lunga, tu non la vedevi, ma faceva impressione. Sembravi perdere sangue, sgorgare dolore, un pendolo quando camminavi, mettevi le mani a conca dietro la schiena, le piegavi come a ricevere un’ostia, ti preparavi all’alluvione, al laghetto di sangue, lo avresti bevuto pur di non perdere niente. Il dolore deruba più del tempo anche se il tempo ce la fa sempre sotto il naso, o ci ruba le cose o ce le rovina, ma tu lo vedevi in volto, dicevi avesse un viso buono coperto da un passamontagna e che approfittasse dei tuoi compleanni per prenderti, ogni volta, qualcosa che pensavi se ne andasse da sola. L’infanzia.
Hai tenuto quella ciocca a lungo, per commemorazione, perché non ti piacciono i cimiteri. Diventare adulta è stato il tuo primo lutto, non eri ancora nata quando Rinetto è morto. Rinetto, il nostro gatto, un persiano, viveva qui con sufficienza, preferiva persone migliori. Ti sei ripresa solo quando hai capito di essere ridicola con quella ciocca, noi non eravamo autorizzati a dirlo. Adesso sembri così per bene. Nessuno direbbe che hai vissuto un lutto in quel modo fibroso, tu non hai mai pianto, non hai guance sgretolate, adesso ti si vedono le scapole nude anche se indossi maglioni, sembrano tonsille di una cattedrale gotica inquietata dal suono buio dei tuoi passi. Leghi i capelli in un fiocco, hai una coda di cavallo, solo la domenica li sciogli, diventi un leone, ti piacciono gli animali tanto che ci vuoi assomigliare. Oggi è domenica ed è il tuo compleanno, mamma ti ha fatto una torta, si è stancata, ci viene da chiamarla nonna, ci accorgiamo che è vecchia solo quando prepara qualcosa con le sue mani. Vecchiaia è non poter più fare qualcosa per gli altri, il corpo si rammarica riempendosi di rughe, la pelle diventa una cesta intrecciata che dentro nasconde un cobra, energia troppo velenosa per il tessuto muscolare. La buona volontà di nostra madre la sta contemporaneamente avvelenando, il bene per sua figlia è veleno mortale.
Oggi di anni ne fai trentasette, hai detto che è l’ultima volta che festeggi e, mentre sistemavi i capelli da un lato, hanno iniziato a bruciare. Il fuoco sembrava darti coscienza. Tu non ringrazi il tempo, non ascolti gli anni, non li senti che ti chiedono il permesso, li hai impauriti, sono scappati, non esiste un’età che dimostri. Io ho l’età di un masso levigato, la pietra invecchia con l’acqua, con la sua violenza, diventa liscia che torna bambina, è un modo d’invecchiare anomalo, una repulsione, infantilismo. Tu sei come la pietra, non hai cellule che lavorano nel corpo, nessun operaio in fabbrica che confeziona il tuo viso, nessuno sciopero, sei tu che non hai dato lavoro. Appiattisci dolore e gioia, il tuo naso bilancia impassibile, li fai sembrare la stessa cosa, con lo stesso peso. Gemelli omozigoti, tu non hai né sesso né gameti, sei la riproduzione umana di una latta di biscotti. La candela sulla torta ti bruciava i capelli non sapendo come tirarteli, nessuno ti può toccare, la tua morbidezza ha assassinato la tua durezza, l’ha sventrata, è legittima difesa perché ciò che è soffice è innocente invece, ciò che è duro, può soffrire. Sotto di te ogni anno c’era una torta nuova, ti si prostrava, dal pan di spagna spuntavano ginocchia, si alzavano così tu soffiavi senza abbassarti: nessuno vuole farti un torto, stancarti. Sempre quando avevi quella ciocca rossa, scrivevi un quadernetto che hai riempito per anni, le pagine finivano e ricominciavano. Tu sei immortale come quelle pagine, scrivevi a matita e poi le cancellavi, toglievi loro il sangue, hai tenuto quel quaderno dieci anni. Forse tu non hai sangue, hai grafite. Dio ti ha fatta a matita e ogni tanto, di notte, ti cancella e ridisegna così tu né muori né invecchi. Sei inespressiva, risenti di tutte quelle calcature, hai un muscolo di carta appallottolato nello sterno, se respiri si accartoccia, si ritrae come una chiocciola se le tocchi le antenne. Menomale io muoio prima, prima di vedere che esplodi. Tu, bomba di carta, esploderai se non mostri niente, se non hai reazioni, se continui solo a cambiare i capelli, a imitare gli animali. Riconosciti prima che muoio, vieni a dirmi perché non cambi, quale ricordo ti è rimasto di quel lutto, perché ogni tuo compleanno ti pietrifica. Le candeline sembrano prendere più fuoco, i riccioli di crema sembrano una prole terrorizzata dalla guerra, quella che tu stai facendo al giorno cinque del mese di dicembre, che detto così sembra un indirizzo, la via della morte, il tuo soffio come Caronte, traghetta l’età nel tuo aspetto da oltretomba, le tue spalle sono una lapide, sei più ossuta, morbido marmo. Non capisco come reagiresti alla morte di una persona, credo inizieresti a colorarla a matita per capire se vive di nuovo. Io penso che la morte sia un uomo che soffia forte sulla testa e ci spegne, come fai tu con le candele. Tempo e morte, uno col passamontagna e l’altro con grossi polmoni, una coppia di criminali. A ogni tuo compleanno non si può non pensare a cose brutte, è colpa tua, sei tu che ci fai avere brutti pensieri, non sappiamo più come assisterti, come sorvegliarti, esco a comprarti un’altra torta, quella di nostra madre ha ceduto perché l’ha preparata con vecchiaia.
Cerco un negozio di dolci ma è domenica, sono tutti chiusi e tu non mi hai detto niente. Mi hai fatto uscire ugualmente, t’immagino a fissare la torta sciolta, è come te, insolubile ma già sciolta, piena di scorie, impura. Devo fare qualcosa per te, vuoi che faccio qualcosa, ecco perché non mi hai ricordato che i negozi sono chiusi. Le saracinesche sembrano palpebre truccate di grigio, lamiere che fanno bei sogni e io, un fratello che s’immola per la tua brutta faccia dove ogni cosa sembra assente: gli occhi, la bocca. Cammino col freddo che mi spinge, mi punge, sembra la tua fretta, quella che hai di avere un’altra torta e di tagliarla subito. Trovo solo una vending machine, ha le luci fulminate e merendine alla crema. Le prendo tutte, se le dispongo una affianco all’altra su un vassoio diventano una torta quadrata.
Torno a casa e siete tutti sommersi, hai aperto i rubinetti in cucina per spegnere il fuoco, sei serenamente sconfitta, hai un dito sporco di mascarpone. I nostri ospiti sono annegati, i tuoi capelli diventati cenere che galleggia a grumi nell’acqua. Se non l’avessi tagliata, la ciocca rossa si staccherebbe dalla tua testa, prenderebbe vita, nuoterebbe tra le stanze, tra gli stipiti delle porte. Mi guardi, le tue iridi scalpitano, vorrebbero chiudermi gli occhi, non farmi vedere cos’hai combinato. Ma io ti conosco, non ti giudico, non nuoto. E ti auguro solo buon compleanno.